Il 12 luglio 2016 è una data destinata ad entrare negli annali dell’ambientalismo italiano e della cittadinanza abruzzese.
Dopo la firma del provvedimento di “Chiusura del procedimento e rigetto dell’istanza di concessione di coltivazione”, avvenuta lo scorso 29 gennaio da parte del Direttore generale per la sicurezza dell’approvvigionamento e le infrastrutture energetiche del ministero dell’Ambiente – poi pubblicata il 5 febbraio sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse – la società Rockhopper, titolare del progetto “Ombrina”, in queste ore sta iniziando i lavori di smantellamento della piattaforma esplorativa. Attiva dal 2008, il prossimo 12 agosto abbandonerà definitivamente l’Abruzzo. A renderlo noto un’ordinanza – la n.42/2016 – della Capitaneria di Porto di Ortona.
Esulta la società civile, protagonista di una lunghissima battaglia popolare lunga otto anni e che, l’anno scorso, ha vissuto i momenti più forti nella straordinaria manifestazione di Lanciano del 23 maggio, che ha visto la partecipazione di 60 mila persone.
“Ombrina, siamo ai titoli di coda. Stiamo parlando del più grande giacimento di petrolio off-shore trovato in Italia dal 2008 che non potrà essere sfruttato dai petrolieri grazie all’impegno di decine di migliaia di cittadini”, scrive il Coordinamento No Ombrina, evidenziando che “in un mese, quindi, i petrolieri della Rockhopper dovranno chiudere il pozzo esplorativo perforato nel 2008 e togliere il tripode di poco più di 10 metri che da allora campeggia nell’orizzonte davanti alla costa tra S. Vito Chietino e Rocca S. Giovanni.” […] “Invece dei pozzi, della piattaforma e della meganave raffineria in quel punto tra qualche settimana avremo solo mare.” […] “Il nostro mare liberato”.
Il fronte del ‘No’ ad Ombrina ha sempre motivato l’opposizione al progetto affermando che “secondo le stime della stessa società proponente, ogni giorno saranno immessi in atmosfera circa 200 tonnellate di fumi da combustione dai motori, dal termodistruttore e dalla torcia atmosferica; nei pochi mesi di perforazione e prove di produzione saranno prodotti 14mila tonnellate di rifiuti tra fanghi perforanti ed altro.” Una “vera e propria raffineria in mare”. La piattaforma avrebbe avuto le dimensioni di “35 metri per 24 metri per 43,50 metri di altezza sul livello medio marino (come un palazzo di 10 piani)” e sarebbe rimasta per 25 anni ormeggiata davanti la costa teatina “collegata ai 4-6 pozzi che dovrebbero essere perforati in un periodo di avvio del progetto della durata di 6-9 mesi”, e “ad una grande nave della classe Panamax riadattata per diventare una vera e propria raffineria galleggiante, definita Floating Production, Storage and Offloading (FPSO), posizionata con ancoraggi a 10 km di distanza dalla costa. La nave avrebbe le seguenti dimensioni: 320 metri di lunghezza per 33 di larghezza e 54 metri di altezza massima”. A collegare il tutto ci sarebbero stati “da 36 a 42 km di condotte per olio, gas e acqua di produzione/strato, o posate o affossate in trincee scavate sul fondale. Per questa ragione, lungo 16-17 km di queste condotte sarà vietato l’ancoraggio a tutte le navi per una fascia larga 926 m; pertanto, considerando anche una zona di divieto di 500 metri dalla FPSO e dalla Piattaforma, tra 1531 a 1624 ettari di mare saranno interdetti all’ancoraggio”.