Lino Guanciale è l’attore dell’anno. Da tantissimo tempo macina consensi e successi televisivi, cinematografici, teatrali. Alessandro Vanoli, invece, è uno storico e scrittore, esperto di storia mediterranea. Dal loro incontro è nato lo spettacolo “Le parole e il mare”, al debutto in questi caldi mesi del 2017.
“Le parole e il mare” è uno spettacolo che vuol essere un viaggio sul Mediterraneo, attraverso porti e coste. Un viaggio culturale e storico, ripercorrendo l’incontro tra popoli, storie, personaggi di varie epoche. È la storia di ognuno di noi, della nostra Italia e dei tanti Stati che si affacciano sul Mare Nostrum. La storia di un continuo incontro fecondo che unisce i popoli e i luoghi. Tutto grazie all’uso di un “vascello” particolare: le parole e le loro origini.
Il 31 agosto prossimo lo spettacolo andrà in scena a Bologna. Il debutto invece c’è stato a giugno in Abruzzo, a Casalbordino, in occasione dell’Abruzzo Open Summer Day della Dmc “Costiera dei Trabocchi” e del Comune di Casalbordino, invitati dall’associazione Mari e Deserti, che cerca da anni di portare avanti la conoscenza e la frequentazione delle culture mediterranee. Abbiamo colto l’occasione di “Le parole e il mare” per intervistare i due protagonisti e riflettere con loro sul Mediterraneo, l’attualità, l’Europa. E un po’ sull’animo e la coscienza di ognuno di noi.
Entrambi venite da paesi appenninici – Avezzano e Bologna – ma vi siete ritrovati a raccontare la voce del mare. Potrebbe quasi apparire un paradosso. Ha avuto successo nel dicembre 2015 la foto, pubblicata dal portale News-Town, di alcuni sciatori che dalla Majella vedevano il mare. C’è un linguaggio comune tra mare e montagna? C’è una bellezza, una ricchezza, un’anima, un linguaggio che li accomuna?
Guanciale: Quello che io percepisco come comune è il senso di fatale vastità proprio di entrambi gli orizzonti naturali. Una vertigine kantiana innescata dalla loro potenza schiacciante. La grande differenza sta nel fatto che il mare, al contrario della montagna, pur nella sua minacciosa e soverchiante grandezza, ha funzionato e funziona da millenni come collettore culturale, come luogo di grandi e complessi scambi fra popoli diversi. La montagna è più un ostacolo che una via di comunicazione.
Vanoli: A onor del vero Bologna sta a metà strada tra pianura e collina. Noi siamo più gente della “Via Emilia” e, magari, in questo senso di viaggio che le grandi strade portano con sé c’è pure un po’ di voglia d’avventura. Per il resto non so quanto valga in assoluto, ma ricordo bene quando da piccolo guardavo le colline davanti casa mia cercando di immaginarmi cosa ci fosse dietro. È lo stesso effetto che mi ha fatto sempre la linea d’orizzonte sul mare.
Lo scorso anno, in un’intervista a Casalbordino – realizzata dall’associazione MeD – Alessandro Vanoli disse che è scomparso un Mediterraneo di dialogo e confronto tra culture, su cui “scommettere insieme”, come se al Mare Nostro si fosse sostituito il mare dei morti che evoca terrore. Secondo voi perché? Potrà mai avvenire l’inverso? Da cittadini attivi, da persone, da abitanti di questo mare cosa potremmo fare perché accada?
Guanciale: Credo che ci si debba fondamentalmente rieducare all’ascolto. Dalla paura del diverso si guarisce solo attraverso la conoscenza del diverso. Ma perché questa conoscenza possa effettivamente avvenire si deve recuperare la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di ascoltarne la storia in maniera partecipe. Su questo fronte, quello del recupero da parte delle persone di tale profondità percettiva, la cultura, le arti, il teatro possono fare moltissimo.
Vanoli: Credo che sia ancora fondamentale scommettere sulla costruzione di un percorso assieme, sulla capacità di diventare tutti (almeno le persone di buona volontà) parte di un progetto comune. E per farlo occorre condividere sempre di più un’idea comune di cittadinanza e di cultura. Dal punto di vista di uno storico questo vuol dire cercare di costruire una storia più larga, che non sia chiusa nello spazio nazionale, ma guardi alle secolari relazioni mediterranee.
Vanoli, a Casalbordino, ha detto che non c’è nessuna bellezza che ci salverà. Ma il Mediterraneo, probabilmente il mare più inquinato al mondo, mostra un’immensa dicotomia bello-brutto. Ed appaiono belle l’architettura, i tantissimi siti naturalistici (Parchi, Riserve, Siti Natura 2000), le vestigia della storia, i massimi luoghi di cultura e incontro. Mentre tra i luoghi inquinati e devastati pensiamo a Taranto e Napoli, ricche di storia ma anche di devastazioni ambientali; pensiamo a Bagnoli, all’Ilva, alle emergenze rifiuti. Luoghi che appaiono sempre brutti, orrendi, da cui fuggire. Le seconde sono minacce al presente e al futuro, le prime le nostre ancore di salvezza per la nostra civiltà e, oserei dire, anche sopravvivenza. Nel film “I cento passi” l’attore che interpreta Salvo Vitale, compagno a Radio Aut di Peppino Impastato, dice che “bisognerebbe educare la gente alla bellezza perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. C’è, quindi, una bellezza che ci può salvare?
Guanciale: Torno alla profondità percettiva di cui parlavo prima. La bellezza che può salvare è quella che si diventa capaci di riconoscere. Non è tanto un dato esteriore ma una rivoluzione interiore.
Vanoli: Beh, in quel caso mi riferivo alla famosa frase nell’Idiota di Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo”. L’idea è meravigliosa, ma cozza con la miseria umana: la storia è piena di esteti crudeli e assassini: dai romani ai nazisti. Essere educati al bello è fondamentale, ma accanto occorre un’educazione al senso di un bene comune e al rispetto nei confronti dell’ambiente e degli altri esseri viventi. C’è molto da fare insomma.
Durante “Le parole e il mare” ci avete raccontato di alcuni porti mediterranei. Intorno al mare e ai porti sono sorte le prime città, grandi civiltà, le repubbliche marinare. Nei porti troviamo segni di cultura e storia. Ma i porti possono essere anche basi logistiche, crocevia di traffici criminali e favorire speculazioni industriali. Potrebbero essere la dimostrazione di una bellezza, di una cultura che può rappresentare riscatto e salvezza?
Guanciale: Possono senz’altro. Il fascino di un luogo è dato anche dalle sue ombre, dalle sue ambiguità, dalla curiosità che riesce a innescare in chi guarda o ascolta. L’unica qualità davvero salvifica è in effetti la curiosità.
Vanoli: Il porto è un posto che attrae e fa paura al tempo stesso: è la porta per mondi nuovi ed è il luogo dove si riversano cose e persone che non conosciamo. Di sicuro se aspiriamo a una società capace di accogliere e di mettersi in gioco allo stesso tempo, il porto è il luogo ideale da cui ricominciare e su cui scommettere. Le città spesso ci spiegano chi siamo, ma il porto ha in sé anche la strepitosa capacità di raccontarci chi potremmo essere. Sarebbe un grande investimento per il futuro.
Nel film “I peggiori” (uscito nelle sale a maggio) – di cui è protagonista Lino Guanciale – uno dei personaggi è un capocantiere albanese, simpatizzante di Salvini e che sfrutta i dipendenti. Quanto, nella realtà, queste contraddizioni incontriamo quotidianamente? Quanto questo personaggio racconta l’Italia – pensiamo al caporalato e al lavoro nero – di oggi?
Guanciale: Racconta benissimo il momento attuale del nostro paese. Il razzismo, l’aspirazione allo sfruttamento del prossimo, il desiderio di potere sono dati comuni a tutti gli uomini. Durim potrebbe avere qualunque nazionalità: rappresenta una specie di archetipo dell’uomo qualunque dei nostri giorni.
Nello spettacolo avete definito le frontiere “medicina e veleno”. Perché? E quanto oggi, nel tempo delle più grandi migrazioni di massa della storia, le frontiere possono rappresentare l’uno o l’altro?
Guanciale: Sono medicina quando consentono di sentirsi protetti (penso al sospiro di sollievo dei rifugiati politici che pur tra tante peripezie riescono ad arrivare da noi, in Italia). Sono veleno quando appaiono come muri impossibili da scalare, come dispensatrici di morte.
Vanoli: Perché le frontiere un po’ servono per spiegarci chi siamo e darci un senso: sarebbe bello se gli uomini potessero sentirsi felici e sereni in uno spazio globale. Ma la realtà ci dice il contrario: più il mondo si allarga, più la gente ha paura perché teme di perdere le proprie certezze e le proprie piccole convinzioni. Detto questo è a dir poco evidente come le frontiere siano anche e soprattutto un limite e un veleno: sono quelle costruzioni artificiali e politiche che ci fanno pensare cosa è giusto e cosa è sbagliato, chi è civile e chi è barbaro, chi è buono e chi è cattivo. Come si fa a non sentirsi stanchi di tutta questa banalità?
La costruzione europea appare in questi ultimi anni fortemente in crisi. Sono tante le voci che ne mettono in discussione anche la prosecuzione. E se da una parte le pulsioni nazionaliste sono forti, così come la tentazione di rinchiudersi dentro i propri confini e le proprie frontiere, dall’altra qualcuno torna a rispolverare un’idea già avuta tanti anni fa da un grande italiano – Alexander Langer – di un’unione euro mediterranea. Secondo voi un Mediterraneo senza confini, unito nella propria diversità (che è poi il motto europeo) per costruire un avvenire comune e superare le crisi odierne (ecologiche, politiche, di guerra, umanitarie) è possibile? La stessa Europa potrebbe ripartire da qui?
Guanciale: Francamente lo spero. L’asse nordista dell’Unione europea ha avuto le sue occasioni per cambiare la storia di questi anni, ma non sempre le ha colte. Tornare a guardare al Mediterraneo vorrebbe dire tornare alle origini della nostra civiltà europeo-occidentale. Tornare al primato della cultura sui dati immediatamente materiali. Dovrebbe essere questo l’obiettivo prioritario delle politiche unitarie: produrre coscienza storica, non solo far quadrare i bilanci e dibattere sugli interessi bancari o finanziari. L’Europa non ha bisogno di identità, ha bisogno di coscienza.
Vanoli: Il Mediterraneo era ed è una grande scommessa. È il punto di convergenza di tre continenti ed è uno spazio capace di esprimere una forte storia unitaria. Dal Mediterraneo possiamo trarre modelli di scambio culturale, di relazione economica. Non so dire se oggi possa essere l’elemento sufficiente per una nuova aggregazione politica. Però quanto meno, può rappresentare il punto di partenza di una strategia vasta capace di coinvolgere paesi diversi. In un momento in cui l’Asia sta diventando sempre più parte di noi, il Mediterraneo, come punto di arrivo e di partenza delle grandi connessioni orientali, potrebbe davvero essere la risposta a un’Europa troppo settentrionale e troppo atlantica.