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Tempa Rossa e il silenzio dopo l’ultimo rintocco delle prescrizioni

Alla fine di marzo di due anni fa (2016) la Procura di Potenza, nell’ambito di una nuova inchiesta sul petrolio in Basilicata, dispose l’arresto di sette persone, su un totale di sessanta indagati. Nomi meno noti e nomi più in vista, come quello della ministra allo Sviluppo economico, Federica Guidi, dimessasi prima che la campana della sera suonasse i tre rintocchi.
Col senno di poi, l’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia provocò un piccolo terremoto politico che l’allora premier, Matteo Renzi, scelse di prendere di petto. Nel corso della direzione del Partito democratico del 4 aprile 2016 dichiarò che a Potenza le indagini della magistratura “ci sono […] con la cadenza delle Olimpiadi” e non arrivano mai “a sentenza”. Precognizione o semplice calcolo delle probabilità?
Ricordiamo che il 17 aprile 2016 i cittadini furono chiamati ad esprimersi su un referendum sulle trivelle (a mare) che ebbe un esito certamente non condizionato dall’inchiesta del capoluogo lucano. Infatti, l’unica regione in cui si raggiunse il quorum fu proprio la Basilicata, che bocciò norme ininfluenti sul disastro petrolifero in atto e in divenire. È bene ricordarlo soprattutto in questa campagna elettorale – più che in altre – in cui gli scenari sono quelli di un voto di scambio per i partiti di governo e di un mercato delle vacche per gli altri, che hanno deciso di trarre vantaggio facendo buon viso a cattivo gioco. Un gioco al massacro della democrazia.
Invece, al primo rintocco di campana – mentre Renzi sul referendum augurò (sempre nella stessa direzione di partito del 2016) il fallimento del voto, perché “la legge l’ha fatta il Pd” – il Tribunale di Potenza sentenziò condanne per manager Total, amministratori ed imprenditori locali, nell’ambito dell’inchiesta Totalgate condotta dal pm Henry John Woodcock e datata 2008. Condanne sì, ma in odore di prescrizione.
Prescrizione che, in effetti, è arrivata qualche giorno fa. Per le condotte fraudolente e corruttive, relative alle gare di appalto per la realizzazione del Centro olio di Corleto Perticara – nell’ambito del progetto Tempa Rossa – non ci sarà alcun colpevole.
Il 20 febbraio 2018 la Corte d’appello di Potenza ha dichiarato l’intervenuta prescrizione per i reati di turbativa d’asta, abuso d’ufficio, favoreggiamento, falso in atto pubblico e corruzione. Stralciate quindi le posizioni di società, imprenditori e dirigenti della multinazionale francese (all’epoca, amministratore delegato di Total era Lionel Lehva, condannato in primo grado a tre anni e mezzo di reclusione). Per i politici si era già escluso in precedenza un loro coinvolgimento nell’inchiesta.
Nel contempo, resta ancora in piedi la vicenda relativa agli espropri – per “pubblica utilità” – dei terreni destinati ad ospitare il Centro olio Total di Corleto Perticara, in provincia di Potenza, in un’area situata a mille metri sul livello del mare, nella quale sono stati capaci di spianare una montagna. E proprio in merito alla vicenda espropri – per futura memoria e per passata e presente dimenticanza – va sottolineato come qualcosa, nella macchina amministrativa, non ha funzionato a dovere, sia nella fase precedente al processo che nella fase successiva. Un pre e un post di “sviste”. Pianificate?
Dieci anni fa, all’epoca del Totalgate, gli inquirenti sottolinearono la condotta corruttiva di due dirigenti locali della Total – Roberto Pasi e Roberto Francini – rei di aver proposto ad alcuni proprietari terrieri un esproprio bonario per un valore al metro quadrato di circa 7 euro. Ovviamente fuori mercato.
Al tempo stesso, come è possibile leggere nelle carte dell’inchiesta, un dipendente del Comune di Corleto, con poteri evidentemente esecutivi – in accordo con i dirigenti Total – fissò a 2,50 euro il valore al metro quadrato per l’esproprio non bonario, costringendo i proprietari terrieri a cedere alle lusinghe. C’è chi ha ceduto e chi no.
Ma cosa accadde esattamente tre anni dopo l’inchiesta? Accadde che il Comune di Corleto Perticara emanò un decreto – pubblicato sul Bollettino ufficiale regionale n.10 dell’1 luglio 2011 – che fissava a 2,50 euro al metro quadrato il valore dei terreni ricadenti in un’area dichiarata di “pubblica utilità” in base alla delibera Cipe n.121 del 21 dicembre 2001.
Sì, proprio 2,50 euro al metro quadrato. Ma non era un valore di gran lunga inferiore ai prezzi di mercato, tanto da essere oggetto di inchiesta?
Un particolare che, ancora oggi, sembra essere sfuggito a inquirenti e controlli.
Risultato finale? Tutto prescritto ed archiviato. Il processo Totalgate si è sgonfiato in concomitanza con il recente filone d’inchiesta su Tempa Rossa (tra la Basilicata e la Puglia, con Taranto), che ha chiamato in causa ministri e faccendieri.
Resta in piedi il filone che interessa il Centro olio di Viggiano e l’Eni. Ma non si sa ancora per quanto, visto che alle campane in Val d’Agri sembra essere stato concordato un silenziatore politico e mediatico, in una valle dove lo scenario è nero (in tutti i sensi) perché ci sono di mezzo l’ambiente e il disastro ambientale da far passare sotto silenzio, mentre in questo 2018 estrazioni di idrocarburi e royalty hanno ripreso a crescere e raddoppieranno allorquando anche il Centro olio di Corleto Perticara entrerà in funzione.

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Autore:

Giornalista, direttore del periodico Terre di frontiera. Reporter per la Terra 2016 e Premio internazionale all'impegno sociale 2015 Livatino-Saetta-Costa. <a href="https://www.pietrodommarco.it">About me</a>