Il progetto Tempa Rossa a Taranto si farà. La presidenza del Consiglio dei ministri ha concluso l’istruttoria per l’autorizzazione al progetto, superando – secondo quanto previsto dalla legge – il diniego espresso dalla Regione Puglia. E come spesso accade, quando l’accanimento politico è a senso unico, si assiste ad annunci di colpi di mano governativi e alle dichiarazioni di esperti pronti a dare una chiave di lettura di parte su quanto accaduto, puntando il dito contro il governo. La verità, però, sta nel mezzo e le responsabilità emergono solo da una lettura attenta degli eventi.
In verità, la notizia sullo sblocco definitivo del progetto Tempa Rossa – rimbalzata di recente tra i mezzi di informazione nazionali – non è proprio una novità. Come riportato da Terre di frontiera, il 22 dicembre scorso, il Consiglio dei ministri aveva già deliberato le autorizzazioni necessarie all’esecuzione dell’opera. Lo avevo fatto ai sensi dell’articolo 57 della legge n.5 del 9 febbraio 2012 – il cosiddetto decreto “Semplifica Italia”, convertito nella legge n.35 del 4 aprile 2012 – e dell’articolo 14-quater della legge n.241 del 7 agosto 1990 su “Nuove norme sul procedimento amministrativo”.
Il governo si era appellato al “superamento della mancata intesa” con la Regione Puglia, “in considerazione della grande rilevanza strategica dell’opera per le politiche energetiche nazionali […]”.
Ricordiamo che il ministero dello Sviluppo economico, il 30 novembre 2015, aveva emanato già l’atto finale autorizzativo che richiedeva solo l’intesa con la Regione Puglia. Da quel momento in poi, quale ruolo ha giocato il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano? Come sono andate davvero le cose?
Per capirlo abbiamo consultato le carte ufficiali, dopo aver richiesto, ed ottenuto, accesso agli atti del ministero dello Sviluppo economico e alla presidenza del Consiglio dei ministri relativi al progetto Tempa Rossa. La documentazione raccolta si è dimostrata utile a fotografare la realtà dei fatti e fondamentale per capire gli intrecci di una vicenda a dir poco complicata.
IL PROGETTO TEMPA ROSSA E LA BUROCRAZIA
Partiamo dal principio. Il progetto Tempa Rossa si sviluppa in due regioni: la Basilicata e la Puglia. Protagoniste assolute della partita sulle autorizzazioni sono le compagnie petrolifere: la francese Total, sul versante lucano, e l’italiana Eni, sul versante pugliese. Cinquantamila barili al giorno giungeranno dai giacimenti Total di Corleto Perticara al parco serbatoi della raffineria di Taranto, di cui Eni è proprietaria in forza del decreto ministeriale n.16342 del 30 luglio 1997.
Da qui il greggio verrà trasportato via mare verso altre raffinerie. L’opera di adeguamento prevede una serie di interventi tra cui la costruzione di due serbatoi della capacità di 180 mila metri cubi e il prolungamento del pontile esistente per permettere l’attracco delle petroliere.
L’Eni, il 27 ottobre 2011, ottiene subito parere positivo di compatibilità ambientale con decreto congiunto di Valutazione d’impatto ambientale e Autorizzazione integrata ambientale. Inizialmente, l’opposizione locale è flebile. Sul versante lucano, invece, tutto tace o quasi. Anche da parte dei comitati locali. E se oggi un certo interesse si è svegliato giunge però in ritardo. Solo il comitato Legamjonici intuisce la pericolosità del progetto e lo rende noto. Ma tutti gli enti sono favorevoli. Persino la Regione Puglia, il 22 novembre 2011, dà parere positivo dal punto di vista ambientale. Negli anni seguenti, anche se in ritardo, il Comune di Taranto manifesta una certa opposizione, sotto la pressione della società civile che, nel frattempo, ha acquisito maggiore consapevolezza. Il governo, temendo che il progetto salti, nel 2014 inserisce un emendamento specifico nella legge di Stabilità 2015 che va ad integrare un vuoto normativo non colmato dal decreto legge Sblocca Italia, in materia di opere logistiche e infrastrutture correlate a progetti petroliferi. È il via libera al progetto sul versante tarantino. Il tempo passa inesorabile. Fino al 29 giugno 2015 quando Eni chiede al ministero dello Sviluppo economico di essere autorizzata, in via definitiva, ad adeguare le strutture logistiche della raffineria. Nello stesso mese, Michele Emiliano viene eletto presidente della Regione Puglia. Nel mese di novembre gli viene notificato il provvedimento con cui si dà il via libera a Eni, dato che tutti i pareri sono stati acquisiti. L’atto conclusivo è l’intesa della Regione Puglia.
Come previsto dalla legge n.35 del 4 aprile 2012, nella quale si sottolinea che “2.[…] per le infrastrutture e insediamenti strategici di cui al comma 1 nonché per le opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali allo sfruttamento di titoli concessori, comprese quelle localizzate al di fuori del perimetro delle concessioni di coltivazione, le autorizzazioni, incluse quelle previste all’articolo 1, comma 56, della legge 23 agosto 2004, n.239, sono rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, limitatamente agli impianti industriali strategici e relative infrastrutture, disciplinati dall’articolo 52 del Codice della Navigazione, d’intesa con le Regioni interessate.
3. L’autorizzazione di cui al comma 2 è rilasciata a seguito di un procedimento unico svolto entro il termine di centottanta giorni, nel rispetto dei principi di semplificazione di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241.[…].
3-bis. In caso di mancato raggiungimento delle intese si provvede con le modalità di cui all’articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239, nonché con le modalità di cui all’articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241.”
Il 30 giugno 2016 quest’ultimo articolo viene modificato: scompare il confronto in seno alla conferenza Stato-Regioni in caso di dissenso motivato da parte dell’ente regionale. Resta comunque la possibilità di sospendere l’efficacia della determina: ”[…] In caso di approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l’efficacia della determinazione è sospesa ove siano stati espressi dissensi qualificati ai sensi dell’articolo 14-quinquies e per il periodo utile all’esperimento dei rimedi ivi previsti.”
DALLO SVILUPPO ECONOMICO SOLLECITANO L’INTESA ALLA REGIONE PUGLIA
L’1 giugno 2016 la direzione del Ministero dello Sviluppo economico sollecita l’intesa. La Regione Puglia prende tempo, rispondendo che essendo in corso un procedimento penale pendente presso la Procura di Potenza, relativamente ai lavori di sviluppo del giacimento Tempa Rossa – da cui giungerebbe il greggio destinato al transito nella raffineria di Taranto – si ritiene necessario “accertare […] attraverso l’avvocatura regionale se per l’ipotesi l’approvazione della delibera possa determinare, sia pure inconsapevolmente, il perfezionamento di un disegno criminoso da parte degli indagati nel suddetto procedimento.”
La Regione, dunque, tarda ad entrare nel merito. Nel frattempo il governo modifica l’articolo 14-quater, comma 3, della legge n.241 del 7 agosto 1990. Salta così la possibilità di un confronto tra Stato e Regione Puglia che, di fronte alla forte pressione locale, non può che assecondare le richieste dei cittadini. Lo fa però in maniera maldestra. Con verbale datato il 6 luglio 2016, infatti, informa il ministero che non intende rilasciare l’intesa, ma commette l’errore di non indicare le possibili modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso. Secondo la legge, infatti, i pareri, inclusi i dissensi, devono essere motivati e qualificati.
Il ministero sollecita ancora: il 25 ottobre 2016 e il 21 marzo 2017. Il tempo è ormai ampiamente scaduto. Il 23 giugno 2017 il direttore generale del ministero non può fare altro che rimettere la decisione alla presidenza del Consiglio dei ministri, presso il quale, il 18 luglio e l’11 settembre si svolgono le riunioni di coordinamento istruttorio.
GLI INTOPPI, I COLPI DI SCENA E GLI SCIVOLONI DI EMILIANO
L’iter finale subisce però un nuovo intoppo. Nella seconda riunione il ministero dei Beni Culturali e del Turismo fa presente che è necessario acquisire l’autorizzazione paesaggistica. E, colpo di scena, il 27 ottobre 2017, gli atti passano di nuovo al ministero dello Sviluppo economico competente. Viene così sospeso il procedimento presso la presidenza del Consiglio, “in attesa di comunicazioni […] in relazione alla suddetta autorizzazione paesaggistica.”
A questo punto la Regione Puglia prova a sfruttare l’assist offerto dal ministero dei Beni Culturali che aveva evidenziato la necessità che la Regione esercitasse ancora “le relative specifiche prerogative in materia di deroga così come definite dall’articolo 95” del medesimo Piano paesaggistico territoriale regionale (Pptr).
Il rilascio del provvedimento di compatibilità ambientale risulta infatti anteriore (l’anno è il 2011) rispetto alle previsioni e alle prescrizioni riportate nel Pptr approvato il 16 febbraio 2015. Ma è troppo tardi. La Regione sembra ormai fuori di scena. La richiesta viene superata dal parere paesaggistico favorevole con prescrizioni della Soprintendenza archeologica per le province di Brindisi, Lecce e Taranto. Tuttavia, il 20 dicembre 2017 si tiene un’ulteriore riunione integrativa per l’acquisizione dell’eventuale deroga prevista nell’ambito del parere paesaggistico da parte della Regione Puglia, che fa un altro scivolone. Chiede, in maniera generica, la dimostrazione che si tratti di opera di pubblica utilità, nonché la documentazione atta a dimostrare “la non sussistenza di alternative localizzative e progettuali e la compatibilità delle opere con gli obiettivi di qualità […].”
Infine si riserva di rilasciare eventuale deroga tramite deliberazione di giunta. Ancora una volta non avanza proposte di modifiche progettuali. Ancora una volta offre il fianco. E in effetti le risposte giungono presto. E sono di una imbarazzante ovvietà:
1) Che si tratti di un’opera di pubblica utilità lo dice la legge. In verità una sfilza di norme. Dalla legge n.35 del 2012 al decreto-legge Sblocca Italia, fino ad arrivare all’emendamento successivo annesso per le opere infrastrutturali collegate a progetti petroliferi. Per intenderci l’emendamento in questione è quello che portò alle dimissioni della ministra allo Sviluppo economico, Federica Guidi, del governo di Matteo Renzi. La parole chiave è strategicità.
2) Per Eni è un gioco da ragazzi sottolineare come il progetto abbia cercato di sfruttare, per quanto possibile, le opere già esistenti e le superfici da esse occupate limitando l’uso di aree estranee alla raffineria. Anche il ministero dell’Ambiente ha la risposta pronta, ricordando che Eni ha ottenuto la proroga per la validità del decreto di compatibilità ambientale (Valutazione d’impatto ambientale), emanato il 27 novembre 2011, con decreto del ministero n.373 del 27 dicembre 2017. Il provvedimento è esteso anche agli aspetti paesaggistici, con nulla osta tecnico del Ministero dei beni culturali.
3) Si chiarisce che l’autorizzazione unica rilasciata dal ministero dello Sviluppo economico, come riportato nella normativa “sostituisce, anche ai fini urbanistici ed edilizi nonché paesaggistici, ogni altra autorizzazione, concessione, approvazione, parere, atto di assenso o nulla osta comunque denominati, previsti dalle norme vigenti, costituendo titolo a costruire e ad esercitare tutte le opere e tutte le attività previste nel progetto approvato, fatti salvi gli adempimenti previsti dalle norme di sicurezza vigenti.”
LA REGIONE PUGLIA DISERTA LA RIUNIONE AL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
Alla Regione Puglia viene comunque lasciata facoltà di esprimersi in via definitiva. Ma l’8 febbraio 2018 diserta la riunione presso il Mise che rimette per l’ennesima volta gli atti alla presidenza del Consiglio dei ministri. Fine dello spettacolo. Anzi no. Perché a grande richiesta ritorna sulla scena il Comune di Taranto. Come già detto, l’amministrazione comunale si è schierata, fin dal primo momento (già nel 2011), a favore del progetto petrolifero. In seguito, dal 2014 al 2016, sotto la pressione dell’opposizione locale la giunta guidata da Ippazio Stefàno, con un cambio di rotta, si schiera dalla parte dei cittadini, convocando addirittura quelli più informati sulla vicenda, per capire quale strategia seguire. Contrariamente all’operato del presidente della Regione, Michele Emiliano, che si lascia sfuggire la situazione di mano, forse perché troppo impegnato a portare avanti la campagna per il referendum sulle trivelle in mare, nella sua personale battaglia con Renzi per la corsa alla segreteria del Partito democratico.
Michele Emiliano si è affidato a pareri approssimativi, ascoltando solo l’ala più populista del mondo ambientalista che – desiderosa di avere l’esclusiva sull’incontro – non coinvolge i cittadini più esperti. In verità, anche i No Triv a livello nazionale ignorano a lungo la questione e solo di recente sembrano essersi svegliati dal lungo torpore.
Ma il 26 giugno 2017 il vento cambia anche per Taranto: Rinaldo Melucci viene eletto primo cittadino. Il neo sindaco si mostra immediatamente favorevole al progetto, gettando all’aria anni di lotte. I pareri più recenti – come emerso dai verbali degli incontri – sono infatti tutti favorevoli.
Non solo. Melucci, dopo aver scaricato Emiliano, intende addirittura avviare delle trattative con le compagnie petrolifere. E così fa. Lo specifica, infatti, in una nota ufficiale: “All’indomani della definizione della formale procedura autorizzativa presso la presidenza del Consiglio dei ministri, che di fatto rilancia l’infrastruttura logistica asservita alla filiera del giacimento lucano di Tempa Rossa, con ricadute positive per il traffico portuale dello scalo ionico, il Comune di Taranto recupera una equilibrata relazione con gli investitori, desiderosi di contribuire attivamente allo sviluppo socio-economico del nostro territorio, nel rispetto delle migliori previsioni in materia ambientale e per l’intera durata del ciclo vitale del giacimento. Per tali motivi, il Civico Ente, la Joint Venture di Tempa Rossa ed Eni, dopo settimane di proficui confronti, hanno elaborato un protocollo di intesa che include svariate misure di sostegno ai progetti della comunità ionica.” Il documento è stato sottoscritto ufficialmente giovedì 19 aprile 2018.
L’avvio effettivo dei lavori del progetto Tempa Rossa è però vincolato all’elaborazione del Rapporto di sicurezza definitivo che l’Eni deve ancora consegnare al Comitato tecnico regionale.
È questo l’ultimo atto di uno spettacolo tragico per le conseguenze che ne deriveranno sotto i profili dell’ambiente e della sicurezza. E a tratti comico per le alterne vicende politiche correlate, simbolo di un modo di amministrare totalmente incoerente.