Il circolo Legambiente di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, fa il punto sul decomissioning dell’ex centrale nucleare del Garigliano. Una volta avviate le procedure per l’abbattimento controllato del camino, Sogin anticipa di ben quattro anni lo smantellamento del vessel, il “cuore” dell’ex sito nucleare. Ma le operazioni sperimentali previste dalla società destano preoccupazione alla luce della mancanza di un piano di emergenza aggiornato.
L’abbattimento del camino dell’ex centrale del Garigliano è stato avviato già nell’agosto scorso. “Una volta scarificate le pareti interne dalle polveri radioattive fino all’altezza dei primi 40 metri – su ca. 100 del totale – il materiale di risulta sarà un rifiuto convenzionale da conferire in un sito per inerti. Sito che non è presente sul territorio della provincia di Caserta”. Ma il circolo Legambiente di Sessa Aurunca, da anni vero e proprio ente di monitoraggio e controllo sulle azioni svolte nel campo del decommissioning della centrale nucleare del Garigliano, continua a seguire passo passo le operazioni messe a punto dalla Sogin spa. Tentando di mantenere sempre viva l’attenzione sull’unico sito nucleare italiano ad essere chiuso ben prima del referendum del 1987.
“La novità più importante”, prosegue Legambiente “è rappresentata dallo smantellamento del vessel. Un’operazione anticipata di quattro anni – dal 2023 al 2019, previa autorizzazione dell’Ispra – che avrà una durata complessiva di nove anni, con una previsione di spesa di circa 100 milioni. Questa accelerazione è giustificata, per Sogin, da alcuni motivi tra cui i costi commisurati ai tempi e il know-how. Ma viene resa possibile, nei fatti, da una serie di operazioni ingegneristiche che prevedono un approccio sperimentale allo smantellamento del vessel in mancanza di riferimenti internazionali di rilievo.”
I cittadini di Sessa Aurunca sono preoccupati. Il vessel, il contenitore a pressione che in passato custodiva il nocciolo del reattore nucleare, è uno degli elementi di una centrale più complessi da smantellare. “In questi diciotto anni trascorsi dalla sua costituzione – voluta da Pierluigi Bersani, ai tempi Ministro dell’Industria nel governo di Massimo D’Alema – Sogin ha rallentato le operazioni di decommissioning con costi che, pur senza utilizzare i fondi disponibili, non sempre giustificavano quelli utilizzati”, si legge ancora nella nota di Legambiente.
“Luca Desiata – amministratore delegato Sogin – in un’audizione alla commissione Lavori pubblici del Senato, ha evidenziato che da quando si è insediato il nuovo consiglio di amministrazione ‘abbiamo trovato il decommissioning al 25 per cento come spese e costi effettuati ad oggi rispetto al piano a vita intera. Dietro a questo 25 per cento ci sono incertezze legate al fatto che le spese fatte sinora non corrispondono sempre a opere concrete e per così dire visibili’.”
Naturalmente, l’allungamento dei tempi ha comportato aumenti considerevoli nella previsione di spesa dell’intero decommissioning dei siti nucleari italiani. “Nel 2008”, sottolinea ancora Legambiente “la chiusura del ciclo era prevista per il 2019, con una spesa complessiva di 4,3 miliardi di euro. Nel 2012 Giuseppe Nucci, all’epoca amministratore delegato di Sogin, prevede una spesa di 5 miliardi, con uno slittamento al 2025. Nel 2013 il costo è lievitato a 6,3 miliardi. Nel 2014 si è previsto un ulteriore slittamento al 2032. Nel 2017, infine, Sogin prevede una spesa di 6,5 miliardi con uno slittamento al 2035. Sul Corriere della sera del 17 febbraio 2016 si apprende, poi, dell’escalation dei costi delle componenti dell’attività Sogin. Non solo di quelli “fissi”, inerenti a personale e sicurezza, ma anche di quelli del decommissioning vero e proprio. Parliamo in media di oltre 100 milioni l’anno. Cifre tutte documentate nelle schede inviate all’Autorità per l’energia. C’è poi la gestione del combustibile. Che l’Italia ha deciso di “scambiare” a pagamento con il Regno Unito. Circa 5 mila metri cubi di rifiuti a bassa attività contro un metro cubo ad alta intensità. In caso di indisponibilità del Deposito nazionale, bisognerà pagare ogni anno 50-60 milioni di euro in penali al Paese che custodisce le scorie nostrane. Il contratto con la Francia scade nel 2025, mentre con il Regno Unito si sta negoziando il differimento – sempre a pagamento e questa volta inevitabile – dal 2019 al 2025.”
Si stima che un ritardo di 10 anni comporterebbe costi per il Paese fino a 1 miliardo di euro. “Poi ci vuole anche un po’ di memoria storica”, rincara Legambiente “Non bisogna dimenticare che se la Sogin esiste dal 1999, negli anni precedenti gli italiani hanno versato in bolletta – componente A2 – fior di oneri per indennizzare l’Enel per l’uscita dal nucleare decisa nel 1987. Secondo qualche calcolo, i rimborsi per Enel e le imprese appaltatrici hanno toccato quasi 15 mila miliardi di lire – circa 7,5 miliardi di euro -. Il che fa sconsolatamente aumentare il conto dell’addio al nucleare a 20 miliardi di euro. Pagati centesimo su centesimo dai consumatori in bolletta. Dunque, la decisione di anticipare lo smantellamento del vessel di 4 anni, si deve a un accorciamento dei tempi che si tradurrebbe in una spesa più contenuta. Ma anche, e forse soprattutto, alla possibilità di acquisire un know-how che, a livello internazionale, farebbe salire vertiginosamente le quotazioni di Sogin. Cosa già accaduta in occasione della scarifica del camino dalle polveri radioattive. Un’operazione sperimentale portata avanti con tecnologie tutte italiane. Il vessel però è il “cuore” di una centrale nucleare. È il contenitore d’acciaio dove viene custodito il reattore, il punto più difficile da smantellare. Data la presenza di radiazioni, le operazioni saranno lente e complesse. Tuttavia, ancora una volta, l’ex centrale di Sessa Aurunca sarà teatro di operazioni sperimentali, tutt’altro che rassicuranti, in assenza di un piano di emergenza aggiornato.”
“Per Desiata”, rileva in conclusione Legambiente, “l’ex sito del Garigliano è un obiettivo strategico dell’azienda che la rende credibile. Questo perché, alla luce della difficoltà ingegneristiche del cantiere non si deve girare attorno al problema, ma affrontarlo e farlo con un piano credibile dal punto di vista dell’ingegneria per procedere con un’attività via via più complessa. E allora, il piano è quello di smantellare almeno un vessel entro la loro consiliatura. Desiata ha poi ribadito che la parte più difficile è il vessel. In mancanza di riferimenti internazionali, quella parte di piano presenta forti incertezze. Un’incertezza di fondo che, finché non attacchiamo il vessel, resta ineliminabile.
Insomma, noi abitanti del territorio saremo, ancora una volta, le cavie degli esperimenti condotti nella centrale del Garigliano. Si decide lo smantellamento del vessel, ma non si conoscono ancora le soluzioni ingegneristiche e ambientali. Anzi, viste le affermazioni di Desiata, non possiamo che far nostre le forti incertezze in mancanza di riferimenti internazionali.”