La nostra lettura della Relazione Dia (Direzione investigativa antimafia) sulle attività svolte e i risultati conseguiti nel secondo semestre del 2018.
Roma non ha padroni. Ma, piuttosto, continua ad essere considerata per sua propria vocazione la Capitale del complesso “laboratorio criminale” in cui si sono sedimentate indistintamente camorra, ‘ndrangheta e Cosa Nostra. Qui le mafie perdono la caratteristica della territorialità, del legame ancestrale col territorio, per aggredire tutti gli spazi economici e finanziari. Da un lato, il controllo spasmodico delle principali infrastrutture che si congiungono nella capitale – strade, autostrade, porti, scali aeroportuali – consente la vigilanza costante sul transito di merci e persone. Dall’altro, la criminalità attiva sul territorio è riuscita da tempo a infiltrarsi nel sistemi legali e para-legali. Un caso su tutti è sicuramente quello del Mercato Ortofrutticolo di Fondi (MOF) dove la famiglia D’Alterio – attiva nel Sud Pontino – attraverso legami consolidati con alcuni clan camorristici casertani, era riuscita a garantirsi un monopolio sui trasporti.
«È chiaro tuttavia», scrive la Direzione investigativa antimafia, «che queste dinamiche non sono frutto dell’improvvisazione ma di una progressiva integrazione, resa possibile da una coesistenza ultradecennale delle varie forme di criminalità, tutte orientate all’esigenza, sempre più sentita, di individuare nuovi e remunerativi obiettivi economici da aggredire.»
In tal senso “Mafia Capitale” è esemplificazione di un modello criminale che, dal punto di vista giuridico, è divenuto nel tempo assimilabile a quello delle mafie classiche. Il gruppo Buzzi-Carminati infatti, avvalendosi del metodo intimidatorio e di quello corruttivo – derivanti entrambi dal vincolo di appartenenza a un’associazione – era riuscito a infiltrarsi in alcuni importanti settori dell’amministrazione capitolina. Dimostrando, dunque, di avere la caratura criminale necessaria per trasformarsi in “associazione mafiosa”.
I sistemi criminali stranieri, invece, sono maggiormente attivi sui fronti dello sfruttamento della prostituzione e del caporalato nei comparti dell’edilizia e dell’agricoltura. Gli accordi tra gruppi criminali che provengono da Paesi ex sovietici, dal Sud America a dalla Nigeria hanno consolidato il mercato della prostituzione maschile e femminile. In particolare la mafia nigeriana – coadiuvata dai sodalizi nordafricani – sembra la realtà criminale più attiva sul fronte del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Mentre rapine e furti restano appannaggio dei gruppi albanesi.
NEL REGNO DEI CASAMONICA
Nel variopinto regno dei Casamonica, invece, non c’è spazio per quella che la Dia definisce la «strategia d’inabissamento.» Attivi principalmente nelle aree a sud di Roma – Porta Furba, Tuscolana, Romanina, Anagnina, protendendosi verso Frascati, Grottaferrata e Monte Compatri – la capacità criminale di questo effervescente gruppo sinti risiede principalmente nel rapporto di consanguineità dei componenti e nell’uso di un modello linguistico che rende il sodalizio difficilmente permeabile dall’esterno. Nel corso del tempo si sono guadagnati sul campo la nomea criminale di cui godono. E, in virtù di una certa riconoscibilità esterna, sono in grado di avvalersi costantemente della violenza e dell’intimidazione. Un testimone di giustizia dice di loro: «I Casamonica sono malati di potere, hanno lo necessità di dimostrare che sono potenti e questo, dal loro punto di vista, si dimostra mediante i rapporti con altre organizzazioni criminali e mediante l’ostentazione di un lusso sfrenato.»
Il 17 luglio 2018 l’operazione “Gramigna” porta all’arresto di 37 persone – membri delle famiglie Casamonica e Di Silvio, imparentati con le famiglie sinti dei Di Guglielmo, Ciarelli, Spada, Spinelli (di nazionalità italiana, ndr) e Seferovich (di nazionalità bosniaca, ndr) – per reati che vanno dallo spaccio di stupefacenti all’estorsione e usura.
Il 15 ottobre scorso invece, il Tribunale di Roma ha condannato quattro imputati – Di Silvio e Casamonica – per lesioni, violenza privata e minacce in relazione all’aggressione organizzata il giorno di Pasqua del 2018 all’interno di un bar del quartiere Anagnina ai danni del titolare e dei presenti, tra cui una giovane disabile. «In particolare», sottolinea la Dia, «l’aggravante della modalità mafiosa è stata avvalorata anche dalle successive minacce rivolte da altri componenti delle stesse famiglie nei confronti del titolare del bar per ritrattare quanto già dichiarato.»