A fine marzo i sindaci dei Comuni inclusi nelle istanze di permesso Shell “Monte Cavallo”, “La Cerasa” e “Pignola”, tra Basilicata e Campania, hanno ricevuto una comunicazione dal ministero dell’Ambiente che sospende le istanze in base all’articolo 11 ter della legge n.12/2019, nonostante il parere favorevole ricevuto dall’ex Commissione Via/Vas. Alcuni parlamentari hanno annunciato ricorso alla Consulta contro la legge Semplificazioni che sospende le istanze per diciotto mesi, in attesa dell’adozione del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee.
I permessi di ricerca idrocarburi denominati “La Cerasa”, “Monte Cavallo” e “Pignola” sono stati sospesi dal ministero dell’Ambiente, in base all’articolo 11 ter del decreto-legge n.135 del 14 dicembre 2018 (Semplificazioni, ndr), convertito nella legge n.12 dell’11 febbraio 2019. La legge n.12/2019, al comma 4, «sospende i nuovi permessi di ricerca per la salvaguardia e miglioramento della sostenibilità ambientale e sociale.»
Tale decisione è stata assunta – per diciotto mesi – in attesa della redazione del Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee), nonostante l’ex Commissione Via/Vas, dello stesso dicastero, nel mese di dicembre 2018 avesse approvato il progetto della Shell per le tre istanze.
Sui tre progetti petroliferi, oltre al ricorso e la richiesta danni da parte della compagnia mineraria, sono stati già annunciati ricorsi da parte di alcuni parlamentari e, forse, di alcune Regioni del Nord-Italia.
LA GOLA PROFONDA DEL PETROLIO LUCANO
Il petrolio lucano fa gola alle compagnie minerarie. Ma fa gola anche ad una parte del governo a trazione leghista che, recentemente, dopo le elezioni regionali, guida per la prima volta la Regione Basilicata con una pattuglia di sei consiglieri. Decisivo è stato il voto alla Lega e al Centrodestra proveniente dalle aree in cui si estrae (Val d’Agri e Valle del Sauro). Dopo decenni di predominio targato Partito Democratico, dalle valli del petrolio, i residenti hanno votato in massa chiedendo più royalties e più occupazione, che in queste aree significa principalmente più petrolio e più gas. Questo accade nonostante il processo in corso presso le aule di giustizia di Potenza sui disastri ambientali causati dal petrolio pare destinato a concludersi con la scadenza dei termini e con le prescrizioni.
LE ISTANZE SHELL “SOSPESE” DAL MINISTRO COSTA PER 18 MESI
Sono diciannove i Comuni interessati dalle tre istanze Shell sospese: Atena Lucana, Brienza, Marsico Nuovo, Montesano sulla Marcellana, Padula, Paterno, Polla, Sala Consilina, Sant’Arsenio, Sassano, Teggiano, Tramutola, Abriola, Brindisi Montagna, Pignola, Potenza, Sasso di Castalda, Satriano di Lucania e Tito. E sono 347 i chilometri quadrati dove la Shell, oltre alla ricerca sismica attraverso geofoni attivati da cariche esplosive e rumore di fondo naturale, non esclude trivellazioni di nuovi pozzi esplorativi, da autorizzare successivamente con nuova procedura di Valutazione d’impatto ambientale oggi “sospesa”.
LE COMPAGNIE PREPARANO I RICORSI PER CHIEDERE I DANNI
Il ministero dello Sviluppo economico si aspetta cause legali. È per questo motivo che, approvando il decreto Semplificazioni, divenuto legge a febbraio, ha stimato anche gli eventuali oneri, aumentando i canoni di concessione da far pagare alle compagnie minerarie proprio per far fronte al «danno emergente» – ovvero alla perdita degli investimenti e alle spese già sostenute dalle compagnie – quanto per il «lucro cessante», ovvero la mancata realizzazione dei profitti derivanti dallo sfruttamento degli eventuali giacimenti scoperti.
In totale il Governo stima che al massimo dovrebbe pagare 470.707.000 euro. Gli avvocati delle compagnie interessate non sono d’accordo. Infatti, secondo gli ultimi i danni emergenti, sarebbero molto più significativi, anche perché sono stati calcolati sulla base di prezzi risalenti a diversi anni fa.
ALCUNI PARLAMENTARI PD E FORZA ITALIA ANNUNCIANO RICORSO
E così, il “Semplificazioni”, con l’articolo che sospende le attività di esplorazione nel settore energia, finisce dinanzi la Corte costituzionale, con due ricorsi. A presentarli i senatori del Partito Democratico, Stefano Collina e Daniele Manca e il deputato di Forza Italia, Galeazzo Bignami – tutti eletti in Emilia Romagna -, che contestano un «conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato». La maggioranza è accusata di aver commesso un «abuso del procedimento».
L’obiettivo dei ricorrenti è quello di ottenere una sentenza che lo stralci dal decreto, per poi costringere il Governo ad aprire un tavolo. Ipotesi, questa, sulla quale esponenti del governo giallo-verde si sarebbero già dichiarati favorevoli, quali Giancarlo Giorgetti che, intervenendo all’Offshore Mediterranean Conference & Exhibition 2019 (tenutasi lo scorso 30 marzo Ravenna) ha palesato le sue «perplessità in merito al blocco delle estrazioni».
Per dovere di cronaca ricordiamo che a Ravenna è stato presentato un progetto di monitoraggio dell’Eni che riguarda proprio la Val d’Agri e che farà ricorso «all’intelligenza artificiale» da abbinare i sistemi digitali in uso presso il Centro olio di Viggiano.