In materia di gestione di rifiuti solidi urbani il Sud non brilla per scelte politiche andate oltre l’intervento legislativo pro tempore finalizzato ad una risoluzione definitiva. Si alimenta così, quella che per l’Italia è una vera emergenza nazionale in cui, a fare da contraltare ad illeciti e cattiva amministrazione, sono le battaglie di numerose associazioni e di singoli cittadini che difendono, da discariche e termovalorizzatori, il proprio territorio. Lotte che spesso non balzano agli onori della cronaca, proprio come quella portata avanti dal Comitato per la corretta gestione dei rifiuti di Massafra, in provincia di Taranto, nato per manifestare la propria contrarietà al raddoppio dell’inceneritore cittadino.
Chiamata anche Tebaide d’Italia, Massafra – nel Parco regionale Terra delle Gravine – vanta un passato fatto di insediamenti della civiltà rupestre. La vicinanza con Taranto – Sito di interesse nazionale per la presenza di attività industriali inquinanti – nel 1990 le ha fatto guadagnare un posto all’interno dell’Area ad elevato rischio di crisi ambientale, come stabilito da un decreto del Consiglio dei ministri. Nonostante questo, nel 2003 entra in esercizio il primo impianto di produzione di energia elettrica da Combustibile derivato da rifiuti (Cdr). In sostanza un inceneritore. Un impianto gestito da Appia energy srl, costituita nel febbraio del 2000 da EuroEnergy group – azienda del gruppo Marcegaglia energy specializzata nello sviluppo, costruzione e gestione di impianti per la produzione di energia rinnovabile che ne detiene il 51 per cento – e Cisa (con sede a Massafra) che seleziona e tratta rifiuti, trasformandoli in Cdr. Una decina di anni dopo la Appia energy formulava al Settore ecologia della Provincia di Taranto un’istanza di procedura coordinata di Valutazione d’impatto ambientale ed autorizzazione ambientale, relativamente alla realizzazione della seconda linea della entrale termoelettrica di Massafra, alimentata a Cdr e biomasse (Protocollo provinciale n.0013993 del 16 febbraio 2012).
LA RICHIESTA DI RADDOPPIARE L’INCENERIMENTO E LA CARENTE VALUTAZIONE D’IMPATTO AMBIENTALE
In sostanza, Appia Energy chiede di raddoppiare l’attività di incenerimento. Una minaccia per una cittadina che già vive nel timore di subire gli effetti nocivi delle attività inquinanti dell’Ilva, dell’Eni e degli inceneritori che insistono da tempo sul territorio tarantino. Ma niente paura, perché la missione dell’azienda è “lo sfruttamento di combustibili più puliti, meno costosi e relativamente abbondanti nel nostro territorio: uno di questi è il Cdr. Contestualmente alla selezione e differenziazione, una volta separato tutto ciò che è riciclabile, è possibile trasformare i rifiuti in Cdr, combustibile dall’alto potere calorifico in grado di alimentare impianti per la produzione di energia. La ricaduta immediata sull’ambiente e sulla qualità della vita: una drastica riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti e della quantità di rifiuti inutilizzabili avviati alle discariche. Il risultato a lungo termine: energia più pulita e meno costi per i cittadini e le aziende”.
Ma è davvero così? Secondo dati forniti dalla stessa azienda l’impianto è in funzione per 7.500 ore all’anno e brucia ogni anno 94 mila tonnellate di Combustibile derivato da rifiuti. Il nuovo impianto avrebbe identiche caratteristiche, con una produzione di energia che si andrebbe a sommare a quella già prodotta.
L’originario iter autorizzativo dell’inceneritore è sempre stato pesantemente viziato da una carente Valutazione d’impatto ambientale. La questione, dai risvolti contorti e per lo più ignota, è spiegata per la prima volta nel 2012 dall’avvocato Giulio Mastrangelo, presidente dell’Archeogruppo di Massafra e cultore di Storia del diritto italiano presso l’Università degli studi di Bari. Lo fece in maniera esauriente con una nota inviata alla stampa.
LE MODIFICHE AL PIANO REGOLATORE
Tutto ha inizio l’11 agosto 2000, quando il Consiglio comunale di Massafra approva l’emendamento n.22 al Piano regolatore generale, con cui si destinava a zona D5, per depositi e impianti di rifiuti insalubri e pericolosi, un’area di 48 ettari dove poi è sorto l’impianto di incenerimento Appia energy. Contro tale destinazione urbanistica si costituisce il Comitato per la qualità della vita: oltre 4 mila cittadini con l’obiettivo di promuovere un referendum popolare per l’annullamento delle delibere del Consiglio comunale che avevano approvato la costruzione dell’impianto di incenerimento, di preselezione e produzione di Cdr.
Anche l’Archeogruppo partecipa a questa battaglia approvando un dettagliato documento nel quale, “premessa la già pesante situazione di inquinamento ambientale di Massafra e del territorio circostante a cui si voleva aggiungere tale impianto di incenerimento per bruciare, non solo e non tanto i rifiuti di Massafra, quanto piuttosto quelli di mezza Puglia che avrebbero richiesto lo smaltimento e la selezione in loco di oltre 700 tonnellate di Rsu al giorno per la produzione di Cdr”, sottolineava che “la costruzione di tale impianto non sarebbe stata compensata né dalla chiusura della discarica controllata esistente né dall’effettivo disinquinamento del sito della discarica illegale, sita nella stessa contrada Console in una attigua cava di tufo.”
Il documento fu inviato, il 5 ottobre dello stesso anno, a tutta la Giunta comunale, alla Commissione europea, al presidente del Consiglio dei ministri, ai ministri dell’Industria, dell’Ambiente, della Sanità, Ai beni e alle Attività culturali, al presidente della Regione Puglia, al presidente della Provincia di Taranto, al prefetto di Taranto, alla locale Asl e all’Amiu, l’azienda municipalizzata igiene urbana.
DIETROFRONT SUL PIANO REGOLATORE MA NON SULL’INCENERITORE. LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO
Dopo le numerose proteste la revoca dell’emendamento n.22 da parte del Consiglio comunale fu immediata. Ma l’inceneritore veniva comunque autorizzato e costruito. Solo la Direzione generale ambiente della Commissione europea dava riscontro all’esposto e, con una nota del 25 ottobre 2002, comunica che in data 16 ottobre 2002 la Commissione aveva deciso di inviare all’Italia una lettera di costituzione in mora in relazione al reclamo relativo alle discariche ed impianti di trattamento rifiuti di Massafra. Incassato un nulla di fatto, la Commissione – in data 5 agosto 2004 – presenta ricorso alla Corte di giustizia europea promuovendo una procedura di infrazione.
Quasi due anni e mezzo dopo, il 23 novembre 2006, la Corte di Giustizia accoglie il ricorso della Commissione sancendo il venir meno, da parte dell’Italia, agli obblighi richiamati dalla direttiva 85/337/CEE.
Al nostro Paese viene imputato di “avere dispensato dalla procedura di impatto ambientale l’impianto sito in Massafra […] avente una capacità superiore a 100 tonnellate al giorno e rientrante nell’allegato I, punto 10, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione d’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati […]; di avere adottato una norma quale l’articolo 3, primo comma del decreto del presidente del Consiglio dei ministri 3 settembre 1999, […] la quale consente che i progetti di impianti di recupero di rifiuti pericolosi e i progetti di impianti di recupero di rifiuti non pericolosi con capacità superiore a 100 tonnellate al giorno […] siano sottratti alla procedura di Valutazione d’impatto ambientale prevista dagli articoli 2, n.1, e 4, n.1 della detta direttiva; di avere adottato una norma quale l’articolo 3 […] la quale, per stabilire se un progetto rientrante nell’allegato II della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 97/11, debba essere sottoposto a Valutazione d’impatto ambientale, fissa un criterio inadeguato, in quanto questo può portare all’esclusione della detta valutazione di progetti che hanno rilevanti ripercussioni sull’ambiente.”
L’Italia, dunque, viene riconosciuta colpevole della violazione del diritto comunitario per aver autorizzato la costruzione dell’impianto di incenerimento di Massafra – con capacità superiore a 100 tonnellate al giorno – senza averlo sottoposto alla previa procedura di Valutazione d’impatto ambientale. “Di conseguenza quell’impianto, privo di Via – specifica nella famosa nota l’avvocato Giulio Mastrangelo – era da considerare ed è illegale. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, il diritto comunitario ha effetto diretto negli Stati membri e, inoltre ha la supremazia sulla legislazione nazionale (sentenza Costa, 1964) e ogni Stato membro è responsabile nei confronti dei singoli cittadini per i danni che siano stati loro causati dalla violazione del diritto comunitario da parte dello stesso Stato (sentenza Francovich e altri, 1991). Per effetto del principio della supremazia del diritto comunitario rispetto a quello nazionale, tutti gli atti amministrativi e negoziali in contrasto con norme comunitarie sono nulli e improduttivi di effetti in quanto emessi in violazione di norme imperative e gli enti che li hanno emanati hanno l’obbligo di revocarli e di provvedere alle determinazioni conseguenti. In base al principio della responsabilità degli Stati membri, ogni cittadino può agire in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni contro lo Stato che violi una norma comunitaria.”
L’unica reazione politica a tale pronuncia fu quella dell’assessore all’Ecologia della Regione Puglia, Michele Losappio, che il 25 gennaio 2007 specifica di aver chiesto alla società che gestisce l’impianto “di avviare, con la massima celerità, formale procedimento di Via per l’impianto termovalorizzatore di Massafra”. Insomma, un contentino beffardo. Quale senso può avere effettuare la Via ad un impianto già in funzione e a completo regime produttivo?
“Tutto ciò – aggiunge l’avvocato Mastrangelo – non avveniva in una landa deserta ma, in un’area fortemente antropizzata sin dalla più remota antichità, che mostrava chiaramente le vestigia di villaggi e necropoli di età preclassica e classica, insieme a monumenti storici e artistici di epoca medievale, destinata a Parco archeologico […] e in un territorio, quale quello massafrese, che deteneva la esclusiva, insieme a pochi comuni limitrofi, della intera produzione agrumicola della Puglia nonché il primato nella produzione delle più pregiate varietà di uva da tavola: risorse queste, cioè quelle culturali turistiche e agricole, che venivano sempre più danneggiate e mortificate dall’alto rischio ambientale gravante sulla zona.”
Sono anche queste le ragioni che spingono successivamente il Comitato per la corretta gestione dei rifiuti ad opporsi, con forza, al raddoppio dell’inceneritore richiesto dalla società Appia energy alla Provincia di Taranto che, successivamente, acquisiva, il parere di tutti gli organi amministrativi interessati agli iter autorizzativi. A conclusione del procedimento, il dirigente del nono settore ecologia dell’ente provinciale, il 7 settembre 2012, esprime parere complessivo favorevole con la determinazione n.93. L’atto, tuttavia, non viene notificato ai diretti interessati, né mai pubblicato sull’Albo pretorio della Provincia, a beneficio di potenziali soggetti interessati al fine di presentare osservazioni o di avanzare ricorso, come previsto dalla normativa.
CARENZE AUTORIZZATIVE E RICORSI AL TAR
Intanto, Giampiero Mancarelli, assessore provinciale all’ecologia – subentrato a Michele Conserva, dimissionario per questioni giudiziarie legate al processo Ambiente svenduto – rileva una carenza nella procedura autorizzativa, in relazione al parere espresso dalla Regione Puglia “Servizio assetto del territorio e servizio urbanistica” (Protocollo n.0007731 del 20 luglio 2012) che dava parere negativo perché, essenzialmente, il progetto contrastava con le norme tecniche del Piano urbanistico territoriale tematico. Essendo un’opera di impatto significativo sul territorio, secondo l’ufficio regionale, la sua autorizzazione era soggetta a deroga da richiedere presso la Giunta regionale e sulla quale il Comune di Massafra doveva obbligatoriamente esprimere il proprio parere.
Il 7 gennaio 2013 la Provincia di Taranto emana una nuova determinazione con lo scopo di revocare quella precedente. Con questo atto il dirigente Angelo Raffaele Borgia riapre, di fatto, il procedimento autorizzativo “al fine di acquisire l’attestazione paesaggistica rilasciata dalla Giunta, previo parere obbligatorio del Comune di Massafra.” Appia energy riceve la notifica del provvedimento ma, anziché ottemperare, fa ricorso al Tar per “eccesso di potere, per malgoverno dei presupposti di fatto e di diritto, contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa”, nonché “eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di motivazione.”
Il Tribunale amministrativo regionale dà ragione alla società, annullando l’atto con il quale veniva revocata la determinazione n.93, che chiudeva la Conferenza dei servizi con parere favorevole all’azienda e la richiesta della Regione di perfezionare il procedimento mediante l’acquisizione dell’attestazione di compatibilità paesaggistica.
Nella sentenza, anche il Tar ricorda che “la Provincia con memoria del 16 febbraio 2013 ha rilevato che la prima determinazione non è mai stata ritualmente notificata al gestore e non è mai stata pubblicata.”
Questa precisazione non viene però fatta oggetto di riflessione all’interno della sentenza e si procede assumendo, come dato di fatto, che la stessa sia stata adottata con tutti i crismi che la normativa prevede e, quindi, carica di tutte le implicazioni giuridiche conseguenti. Una chiave di lettura che non va giù al Comitato per la corretta gestione dei rifiuti che, invece, è convinto che sia stata disatteso l’articolo 124 della legge 267/2000 – il Testo unico sugli enti locali – che dispone che tutte le deliberazioni degli enti locali debbano essere pubblicate all’Albo Pretorio. A nulla sono serviti i successivi ricorsi depositati dalla Provincia di Taranto e dalla Regione Puglia al Consiglio di Stato che, con recente sentenza del 23 marzo 2017, ha respinto gli appelli degli enti ma anche la richiesta di risarcimento da parte della società Appia energy srl. L’iter, dunque, va avanti.
GLI EFFETTI AMBIENTALI E SANITARI
L’impianto è collocato in un territorio fragile dal punto di vista ambientale e con un’esposizione potenziale delle persone a rischi connessi ai carichi inquinanti provenienti da varie fonti. Nel febbraio del 2010 la gravità della situazione ambientale del territorio tarantino diventa di dominio pubblico, quando il presidente della Giunta regionale, Nichi Vendola, emana l’ordinanza n.176, recante “Misure di precauzione a seguito di contaminazioni da Pcb e diossine nelle produzioni zootecniche in alcuni allevamenti della provincia di Taranto.”
Con l’ordinanza si stabilisce il divieto di consumare fegati ovi-caprini presenti negli allevamenti riconosciuti a rischio e ordina il divieto di pascolo su terreni non aventi destinazioni agricole e ricadenti entro un raggio di non meno di 20 chilometri attorno all’area industriale di Taranto.
Il mese successivo il Comune di Massafra recepisce l’ordinanza regionale e ribadisce i divieti espressi, ordinando di predisporre idoneo servizio di vigilanza da parte del Corpo di polizia municipale in tali aree. E proprio in queste aree ricade la localizzazione dell’impianto della seconda linea della centrale termoelettrica. Nel rilasciare il suo parere favorevole, lo stesso responsabile del dipartimento di Prevenzione del Comune di Massafra, Luigi Mastronuzzi, getta le prime ombre sulla innocuità del progetto, quando definisce il primo termovalorizzatore – o inceneritore – “impianto insalubre”.
Infatti, se le caratteristiche progettuali della seconda linea – per ammissione dello stesso proponente – sono identiche alla prima, di conseguenza è identico il suo carico inquinante e, del tutto legittimo, definire “insalubre” anche il secondo impianto.
IL SUPERAMENTO DELLA SOMMA DI DIOSSINE E PCB
Il 16 dicembre 2013, a fugare ogni dubbio, ci pensa l’Arpa regionale. In una nota informativa inviata a tutte le autorità amministrative del territorio, compreso il sindaco di Massafra, comunica che il 3 settembre 2013 è stato superato il valore del tenore massimo, ovvero la “somma di diossine e Pcb diossina simili”, per un campione di latte bovino – prelevato nel mese di aprile dello stesso anno – presso un allevamento dell’azienda Chiarelli, sito in agro di Massafra.
Le successive analisi di conferma su ulteriori campioni di latte, nel mese di ottobre, evidenziano un esito ancor più sfavorevole. Nella stessa nota l’Arpa afferma che “in riferimento all’istanza Via-Aia per la realizzazione della seconda linea della Centrale termoelettrica Appia energy srl alimentata a Cdr e biomasse, sita in contrada Console si osserva come il predetto impianto disti circa un chilometro dall’azienda Chiarelli e da altre aziende zootecniche limitrofe. L’impianto in questione può essere considerato una potenziale sorgente di poli-cloro ma dibenzo-diossina e poli-cloro-dibenzo-furani […]. È bene precisare, però, che anche in presenza di tassi deposimetrici bassi non è possibile escludere, in un arco temporale medio-lungo, il superamento dei tenori massimi sopra citati […] da cui consegue la non tollerabilità di qualunque ulteriore ricaduta deposimetrica di PCDD/F e PCB per l’area in questione […]. Potrebbe non risultare ammissibile un aggravio del presente livello di rischio […]. Quindi si ritiene necessario dar seguito ad approfondimenti tecnico-ambientali e sanitari al fine di definire l’assetto produttivo ottimale dell’impianto in oggetto e, cautelativamente, sospendere ove l’Autorità competente ne confermi la necessità, le attività autorizzative connesse al raddoppio produttivo […].”
E conclude, evidenziando “che l’impianto produttivo in oggetto insiste in un’area ad elevato rischio di crisi ambientale in cui, peraltro, è stato già riscontrato un aggravio del preesistente livello di rischio con l’ovvia conseguenza che allo stato attuale risulta necessario sospendere le conclusioni dell’iter autorizzativo Via-Aia del raddoppio produttivo e procedere ad un contestuale riesame dell’autorizzazione in essere.”
Insomma, il parere dell’Agenzia regionale non fa una piega e, ciò che è peggio, suona come un implacabile monito. In sostanza, se l’impianto in oggetto non è evidentemente a impatto zero, ma il suo esercizio comporta una pressione ambientale aggiunta – pur rimanendo nei limiti di legge di emissioni – il suo esercizio determina un incremento dell’inquinamento rispetto al dato di partenza, cioè rispetto all’opzione zero, senza il raddoppio. Questo si configura quindi come un danno ambientale certo. Basta leggere cosa dice la Corte di Cassazione, pronunciandosi sul tema dei rifiuti, della tutela della salute e sul danno ambientale: “ciò che rileva ai fini della configurabilità oggettiva del danno ambientale, non è il livello di inquinamento in senso assoluto, ma l’incremento dell’inquinamento rispetto alle condizioni originarie.”
L’ULTIMO ATTO: DA DUE A TRE INCENERITORI
Il raddoppio dell’inceneritore sembra inevitabile ma il Comitato per la corretta gestione dei rifiuti chiede con forza un confronto. Mette in campo numerose Iniziative che puntano ad informare i massafresi e a fare pressione sulle amministrazioni locali. Lo fa senza sosta. Ma, quando le forze sembrano acquisire nuovo vigore, si affaccia l’ombra di un’altra minaccia: la costruzione di un terzo inceneritore per lo smaltimento dei fanghi di depurazione. Questa volta la richiesta, avanzata nel 2012, parte dall’azienda STF Puglia srl, situata in contrada Forcellara San Sergio, proprio a Massafra, nella Tebaide d’Italia, culla di civiltà rupestri dove, per Appia energy, quel raddoppio “s’ha da fare” e per STF Puglia vale il detto “non c’è due senza tre”. L’iter autorizzativo va avanti, tra tavoli tecnici e Conferenze dei servizi. Il 24 agosto 2012 l’azienda incassa il parere favorevole, con prescrizioni, del Comune di Massafra, quando il sindaco, Martino Tamburrano – oggi presidente della Provincia di Taranto – mostra già una spiccata apertura nei confronti dei due progetti. L’Arpa, invece, comunica il proprio parere sfavorevole. A seguito poi delle contro deduzioni fornite dall’azienda circa il parere di Arpa Puglia – che successivamente ribatte smontando tali osservazioni – la Provincia, con provvedimento del 27 novembre 2014, esprime parere negativo di compatibilità ambientale. A questo punto l’azienda ricorre al Tar che si pronuncia obbligando la Provincia a riaprire il procedimento. Con una nuova Conferenza dei servizi, il 22 giugno 2015, l’ente acquisisce anche i pareri del ministero dei Beni culturali (favorevole), mentre l’Arpa ribadisce le criticità del progetto e chiede la Valutazione d‘impatto sanitario. Il 26 aprile 2017 il Comitato tecnico provinciale “[…] esprime parere favorevole al progetto presentato, alle seguenti condizioni e prescrizioni: che venga redatto idoneo studio previsionale sugli impatti odorigeni […]; che sia puntualmente esplicitato il bilancio idrico delle acque di processo […]; che sia puntualmente esplicitato il bilancio dell’aria esausta proveniente dai capannoni e dalle aree di stoccaggio confinate” e conclude auspicando che l’azienda preveda “un sistema di recupero del fosforo sia dalle ceneri di combustione che dalle acque di drenaggio dei fanghi”. Il settore Ecologia e Ambiente della Provincia di Taranto rimanda così ad una nuova Conferenza dei servizi invitando la società a fornire la documentazione richiesta. L’impianto tratterà fango disidratato proveniente da differenti impianti di trattamento delle acque reflue, per una quantità massima prevista pari a 80 mila tonnellate all’anno, e con un contenuto medio di sostanza secca pari a- 20-22 per cento, corrispondente quindi a 13 mila/17.600 tonnellate sostanza secca per anno. Lo stoccaggio del fango umido avverrà all’interno di due vasche interrate. Da qui i fanghi giungeranno al sistema di stoccaggio costituito da sei sili verticali. Da questi i fanghi saranno convogliati al sistema di essiccamento e quindi ad un reattore termico che infine li brucerà. Secondo l’azienda le ceneri prodotte verranno allontanate periodicamente per lo smaltimento in discarica o per la rivalorizzazione industriale. Le ceneri chimiche da trattamento fumi saranno invece smaltite in discarica per rifiuti speciali, o destinati alla rivalorizzazione industriale dei sali prodotti. Appare evidente che si tratta di un sistema di smaltimento che non fa altro che generare nuovi rifiuti e nuove emissioni e, dunque, ulteriore inquinamento.
MASSAFRA VUOLE RESPIRARE
Ma Massafra, ancora una volta, non ci sta. Nasce così un movimento più ampio. Un contenitore che raccoglie associazioni, comitati e liberi cittadini che si riconoscono sotto un’unica bandiera, portando avanti un solo messaggio, chiaro e forte: “Massafra vuole respirare”.
Il 29 maggio viene convocata una nuova Conferenza dei servizi che, su richiesta del sindaco di Massafra, viene rinviata al 4 luglio per l’assenza di Arpa Puglia. Il nuovo primo cittadino, Fabrizio Quarto, eletto nel 2016, ribalta subito il parere favorevole espresso dalla precedente amministrazione, bocciando il progetto con una delibera di Giunta.
Considerando “[…] il quadro normativo vigente, in particolare il Piano regionale di gestione dei rifiuti speciali (Prgrs), tra i criteri di localizzazione prescrive la necessità di realizzare i nuovi impianti ad una distanza sufficiente da quelli esistenti al fine di poter distinguere e individuare il responsabile di un eventuale fenomeno di inquinamento e assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci, nel rispetto del principio comunitario “chi inquina paga” (articolo 178, commi 1 e 3, del decreto legislativo n.152/06). Appare evidente come la localizzazione proposta per la realizzazione dell’impianto in oggetto, contrasti con le prescrizioni contenute dal vigente Prgrs, in quanto porrebbe l’ulteriore impianto in stretta vicinanza con gli impianti già esistenti. Tale circostanza non renderebbe possibile escludere interferenze, nel caso di rilascio di sostanze inquinanti da uno di essi e non fornirebbe adeguata garanzia di protezione delle matrici ambientali e, quindi, della salute pubblica, in termini di tempestività di intervento e individuazione delle possibili cause […]” e in osservanza del Principio di precauzione, il Comune di Massafra esprime parere sfavorevole alla realizzazione dell’impianto, chiedendo “[…] alla Provincia di Taranto […] di far rispettare le prescrizioni del vigente Piano di gestione dei rifiuti speciali […] di rigettare, quindi, la richiesta del proponente, concludendo l’Iter in corso con il diniego […].” “Siamo fiduciosi – commenta il Comitato per la corretta gestione dei rifiuti – che i responsabili dell’iter amministrativo, il dirigente del settore ambiente e il presidente della Provincia, sapranno valutare con la dovuta attenzione questi due pareri pesantemente non favorevoli espressi da due organi, coinvolti a titoli diversi nel giudizio, ma con un carico di responsabilità determinante ai fini di una corretta decisione che una pubblica amministrazione deve prendere. […] L’Arpa, nell’ambito delle sue competenze, ha motivato, tra l’altro, il suo parere non favorevole a causa dei livelli di emissioni non compatibili, non in termini assoluti, poiché sono dichiarati livelli emissivi in linea con i valori ammessi, ma in termini relativi. Per l’Arpa le percentuali di emissioni devono essere sommate a quelle già presenti nel contesto del nostro territorio per la presenza di altre fonti inquinanti di cui non si può non tener conto nel bilancio globale.
Sembra un ragionamento ovvio ma è la prima volta che viene espresso e fatto valere in sede di una conferenza dei servizi. In questo scenario il parere dell’Arpa diventa insormontabile e definitivo. Facendo un bilancio tra potenziali vantaggi e possibili rischi il risultato è che siamo di fronte a un impianto inutile e dannoso, e per dirla con Paul Connet: nessun rischio è accettabile se è evitabile.”
ARRIVA LA PROROGA AL RADDOPPIO DELL’INCENERITORE
Mentre chiudevamo questo numero di Terre di frontiera è arrivata la notizia dell’accoglimento della richiesta della società Appia energy srl di prorogare la validità del provvedimento di Via-Aia relativo alla seconda linea della centrale termoelettrica di Massafra, alimentata a Cdr e biogas. Con determina dirigenziale n.81 del primo settembre 2017, infatti, il nono settore Ecologia e Ambiente della Provincia di Taranto ha prolungato le autorizzazioni ambientali fino al 23 agosto 2021. Di fronte a questa decisione, il movimento Massafra vuole respirare esprime tutta la sua contrarietà, commentando con amarezza la decisione dell’ente provinciale. “Facciamo rilevare l’insolita celerità (appena cinque giorni lavorativi) con la quale la Provincia ha risposto all’istanza formulata da Appia energy. Sicuramente è da imputare alla fretta il fatto che l’ufficio competente non ha rilevato un dettaglio importante contenuto nella stessa richiesta. Infatti, Appia energy ha deliberatamente scelto di non dare l’avvio ai lavori, nonostante la sentenza favorevole di primo grado emessa dal Tar Lecce (la numero 978 del 30 aprile 2013), perché ha preferito attendere la sentenza del Consiglio di Stato che è stata prodotta poi, a distanza di quarantanove mesi, in data 11 maggio 2017. Ora, la società chiede inopportunamente di inserire nel computo dei mesi di proroga tale intervallo temporale.”
Nella determina si fa, inoltre, riferimento a una recente sentenza del Tar di Lecce (la numero 601 del 18 aprile 2017), citata dagli stessi richiedenti a sostegno della propria posizione. Secondo il sodalizio di associazioni “tale sentenza non costituisce un precedente valido né da un punto di vista formale, poiché si tratta di una sentenza appellabile in quanto emessa dal Tar, né da un punto di vista della sostanza perché nel caso citato si trattava di sequestro giudiziario e, successivamente, di revoca dell’annullamento della revoca della determina della Provincia di Brindisi. Situazioni, quindi, non assimilabili né comparabili. Ma di questo, guarda caso, non si è accorto chi ha redatto la delibera.”