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Ghetto La Felandina, «necessario ristabilire la legalità»

Il ghetto La Felandina ha i giorni contati. I capannoni del consorzio fantasma sito sulla SS407 Basentana, nel cuore della provincia di Matera, saranno sgomberati in tempi brevi. Mentre il destino degli oltre seicento migranti che popolano la baraccopoli – per la maggior parte muniti di regolare permesso di soggiorno – e lavorano nei campi del metapontino è appeso a un filo.

Da un lato ci sono le ragioni del “popolo del ghetto”. Uomini e donne che per vivere hanno bisogno di lavorare. Anche se quel lavoro è fatto di caporali, sfruttamento e una misera paga giornaliera. Dall’altro, però, c’è la ragion di Stato. Quella che impone lo sgombero forzato dei locali del consorzio fantasma sito sulla SS407 Basentana, nel cuore della provincia di Matera, del quale ci siamo occupati il mese scorso. Il 17 maggio scorso il sindaco di Bernalda, Domenico Tataranno, ha firmato l’ordinanza di sgombero della baraccopoli. Oggi, trascorsi invano i sessanta giorni previsti per il ricorso al Tar, possono ufficialmente cominciare le operazioni.

SI SGOMBERA
«Entro pochi giorni ci sarà un tavolo tecnico in Prefettura per pianificare tutte le operazioni che porteranno allo sgombero de La Felandina», dichiara col piglio del risolutore Tataranno. «Non possiamo più tollerare situazioni di illegalità. La legge è uguale per tutti. Quei locali vanno sgomberati per la salute e la sicurezza sia dei migranti che dei cittadini. Innanzitutto l’Asl di Matera ha accertato l’insorgenza di una emergenza di carattere sanitario. In secondo luogo, il ghetto è a ridosso di un’area a scorrimento velocissimo e non sono mancati incidenti. Non ultimo, l’investimento di due migranti che vivevano a La Felandina. Uno di loro è morto. Date queste premesse, l’ordinanza di sgombero era doverosa. Un sindaco non può voltarsi dall’altra parte e fingere di ignorare un problema di questa portata. Ora, si va avanti.»
Anche perché, nel frattempo, le cattedrali nel deserto che costellano l’area su cui sarebbe dovuto sorgere il consorzio de La Felandina sono passate nella titolarità del demanio statale. E, dunque, c’è tutto l’interesse affinché quei locali vengano liberati da uomini, mezzi e animali il prima possibile.

NON È RIACE
Devono andarsene, col rischio di perdere quel lavoro precario grazie al quale riescono ad andare avanti. Devono abbandonare quei capannoni fatiscenti privi d’acqua potabile e servizi igienici che pure si erano adattati a chiamare “casa”. E, come se non bastasse, giocando d’anticipo il primo cittadino ha imposto ai privati, proprietari di altri stabili dismessi siti nell’area di Bernalda, di mettere in sicurezza i propri locali per evitare che possano essere occupati dai migranti che subiranno lo sgombero a La Felandina.
«Anche volendo o potendo trovare soluzioni abitative non posso obbligare queste persone ad andarci a vivere», commenta il sindaco Tataranno. «Non dimentichiamoci che sono regolari. La verità è che loro hanno interesse a restare in quel ghetto perché lì vengono selezionati o ingaggiati per andare a lavorare nei campi. Proprio recentemente, infatti, c’è stata una retata che ha smascherato un sistema di caporalato che riguardava anche La Felandina. Ma il mio compito è quello di ristabilire la legalità. Quindi dopo lo sgombero per circa due settimane troveremo delle sistemazioni di fortuna. Dopodiché, dato che nessuno di loro risiede a Bernalda, potranno raggiungere le località in cui risiedono. La loro sistemazione» – sottolinea «non può essere a carico della comunità. Né, tantomeno, dello Stato. Da titolari di un permesso di soggiorno, hanno il dovere di trovare soluzioni abitative che rispettino le legge. Personalmente non sono mai stato disponibile a risolvere il problema elaborando soluzioni creative, come pure alcuni miei colleghi sindaci hanno fatto, finendo poi in galera.»

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Autore:

Giornalista, caporedattrice del periodico Terre di frontiera. Specializzata in tematiche ambientali. Crede nel cambiamento e nella possibilità di ciascuno di contribuirvi.