Dopo ben undici anni i magnifici giochi d’acqua di Monteverde, in provincia di Avellino, non si svolgeranno. L’ambita manifestazione, organizzata grazie all’ausilio della onlus “Fondazione insieme per…”, ha sempre fatto registrare presenze da record, dai 30 mila ai 60 mila visitatori all’anno. Numeri, però, difficilmente verificabili, in quanto mancano precise rendicontazioni.
L’annuncio è stato dato nel corso del convegno svoltosi ieri sera (14 giugno 2017) presso la sede del Castello baronale di Monteverde, alla presenza del presidente della Commissione agricoltura regionale, Maurizio Petracca, dell’assessore regionale ai Fondi europei, Serena Angioli, dei delegati dei quattro comuni di Bisaccia, Aquilonia, Monteverde e Lacedonia. I motivi sono ancora sconosciuti.
Delle vicende relative al Grande spettacolo dell’acqua, delle domande inevase e delle altrettanto carenti autorizzazioni ci siamo già occupati nelle scorse settimane. Ma è bene chiarire che dall’assemblea pubblica di ieri sera ci saremmo aspettati qualcosa in più. Forse un salto di qualità. Una moderazione, nei toni e negli atteggiamenti a tratti poco edificanti del dibattito. Un contegno. Una qualche garanzia. Uno spunto che ci avesse fatto quanto meno comprendere che una progettazione seria sullo sviluppo delle aree interne esiste. E che non si limita a una ventina di giorni, in piena estate. Che il Grande spettacolo dell’acqua sia un plausibile volano di sviluppo, un attrattore per il territorio, una base di partenza da cui immaginare di costruire una strategia che tenga insieme tutti i possibili interlocutori territoriali – istituzionali o meno – è fuor di dubbio. È bene rimarcarlo, specie per qualche lettore poco attento, che ha volutamente tentato nei giorni scorsi di strumentalizzare le nostre lecite domande a cui non hanno fatto seguito le doverose risposte che ci saremmo aspettati. Quelle risposte non le abbiamo ricevute. In compenso, tuttavia, dalla visita attenta dei luoghi in esame, dagli incartamenti allo stato disponibili, dalle reazioni che si sono innescate, abbiamo individuato qualche quesito in più. Ed è su questo che scegliamo di concentrarci. Consapevoli del fatto che non possa esistere la valorizzazione di un territorio, senza la sua salvaguardia.
Partiamo dal principio. Sul lago di San Pietro-Aquilaverde noi ci siamo stati. Diverse volte. Non abbiamo più trovato le infrastrutture documentate dal vicesindaco di Lacedonia, Antonello Pignatiello. Quelle sono state rimosse. In fretta e furia. Ma la fretta talvolta è cattiva consigliera. Nel bacino imbrifero – sito in area Sic – e sulle sue sponde ci sono strutture in ferro e agglomerati in cemento. Ci sono tubature che spuntano fuori dagli abbancamenti di terreno che mascherano – e basterebbe rimuoverli con un bastone di legno, cosa che del resto abbiamo fatto – fondazioni in cemento armato che restano lì, a futura memoria. Magari già pronte all’uso per lo spettacolo dell’anno prossimo. Ci sono, ancora, rifiuti misti ammassati impunemente nell’area boschiva che si affaccia direttamente sul lago. Quella adibita ad area pic-nic, che non viene costantemente mantenuta. Mancano cassonetti dell’immondizia. Mancano i più generali strumenti di salvaguardia di un luogo che, ripetiamo, è e resta bellissimo. In tal senso ricordiamo che il decreto legislativo n.152/2006, su “Norme in materia ambientale […]”, disciplina in maniera chiara le fattispecie prese in esame. Specie in riferimento alle ferraglie, tubazioni, agglomerati di cemento che è possibile osservare nel lago e sulle sue sponde. All’articolo 192, commi 1, 2, 3 e 4, si legge che: “l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. È altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee. Fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.”
E veniamo alle sanzioni. Ex artt. 255. “Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da trecento euro a tremila euro. Se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio. Chiunque viola il divieto di cui all’articolo 232-ter è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro trenta a euro centocinquanta. Se l’abbandono riguarda i rifiuti di prodotti da fumo di cui all’articolo 232-bis, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio. Il titolare del centro di raccolta, il concessionario o il titolare della succursale della casa costruttrice che viola le disposizioni di cui all’articolo 231, comma 5, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 260 a euro 1.550. Chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno. Nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all’articolo 192, comma 3, ovvero all’adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3.”
Una normativa chiara. Che delinea responsabilità altrettanto nitide. Persino in capo ai sindaci che, a dispetto di quel che si immagina, avrebbero il supremo compito di monitorare lo stato dei luoghi. Prima di sottoscrivere protocolli d’intesa e avviare qualsivoglia tipo di iniziativa suscettibile di incidere proprio sulle aree oggetto di interesse. C’è poi la questione, finora ampiamente sottovalutata, delle garanzie di incolumità pubblica su aree in frana. Ebbene sì. Nella Carta inventario dei fenomeni franosi – progetto IFFI dell’Ispra – e nella cartografia elaborata dall’Autorità di Bacino della Puglia, si evidenziano fenomeni franosi classificati con PG3, pericolosità elevata. Fenomeni che riguardano in maniera stringente non solo il lago di San Pietro-Aquilaverde ma, soprattutto, l’area adibita per il Grande spettacolo dell’acqua. Certo, i primi cittadini nulla possono per arginare i fenomeni franosi. Tuttavia va ricordato che secondo le recenti linee guida varate dalla Protezione civile in materia, i sindaci e, più in generale, gli enti locali, hanno compiti di previsione e prevenzione, sono tenuti a predisporre dei piani comunali d’emergenza, sono i primi, in caso di incidente, chiamati a gestire i soccorsi e gli interventi urgenti. Dunque, in ambito di programmazione, la pericolosità va tenuta in considerazione. Senza lasciarsi andare ad affermazioni incongrue, più in linea con la tifoseria da stadio che con la funzione di amministratori dei luoghi, del tipo “i giochi d’acqua si faranno, o con noi o contro di noi.”
In ultimo, ma non meno importante, c’è la questione relativa ai complessi iter autorizzativi. Che si dovrebbe avere la pazienza di studiare e ottemperare. Senza i quali, non esistono garanzie che tengano. Se di protocolli d’intesa si parla – ricordiamo che i comuni che si affacciano sul bacino di San Pietro hanno sottoscritto già nel 2015 un accordo di massima per la valorizzazione del territorio – non è possibile organizzare assemblee pubbliche che, a distanza di due anni, nulla raccontano se non tante belle idee e nessuna programmazione. Lo spettacolo dell’acqua è una base di partenza. Ma non può essere la sola. Se nell’area di Lacedonia, Aquilonia, Monteverde e Bisaccia si vuol realizzare, in linea con le prescrizioni del Progetto pilota per l’Alta Irpinia, un distretto turistico, l’idea non può essere calata dall’alto. Ma andrebbe dimensionata rispetto a precise prospettive che, allo stato, mancano. Si parla di contratto di Lago. Di cessione di terreni che ieri sera abbiamo scoperto, grazie all’intervento della dottoressa Flora Della Valle, dirigente regionale dell’area foreste e caccia, essere di pertinenza non della Regione Campania (fatta esclusione della Foresta Mezzana, che per altro non si affaccia sul lago) ma della Comunità montana dell’Alta Irpinia. Le condizioni perché un distretto turistico venga realizzato, vanno create. Meglio ancora, se l’iter è pubblico e partecipato. La progettualità, deve nascere dai territori.
Poi, restano le domande. Imprescindibili.
Perché, in definitiva, lo spettacolo dell’acqua quest’anno non si farà? A tagliargli le gambe sono forse bastate una manciata di foto e qualche articolo di giornale? Perché, se tutte le autorizzazioni erano in regola, le infrastrutture già montate poco più di un mese fa sono state improvvisamente rimosse? Quali enti vengono di norma coinvolti per la realizzazione dello spettacolo? Su che basi vengono scelte le società che effettuano i lavori e con quali costi? Nel processo autorizzativo, vengono coinvolti la Comunità montana, il Consorzio per la bonifica della Capitanata (ente gestore del lago di San Pietro), l’Autorità di bacino, il Servizio dighe e i Comuni direttamente interessati? Sono state seguite le prescrizioni dell’Autorità di bacino inerenti a tutte le attività consentite su un’area classificata a pericolosità elevata? In quale modo viene garantita la pubblica incolumità su un’area cartografata con pericolosità di frana elevata? A chi spetta il controllo dello stato dei luoghi? Chi è tenuto a rimuovere i rifiuti di varia natura che contornano l’area? Ogni quanto il servizio dighe, che fa capo al ministero per le Infrastrutture e i Trasporti, effettua le dovute manutenzioni sul bacino in questione? È possibile accedere ai bilanci della “Fondazione Insieme per…” se non altro per verificare la mole turistica generata in questi anni e la tipologia di investimenti fatti per la beneficenza? Si possono circoscrivere e classificare tutti gli interventi realizzati in questi anni su un’area Sic senza che sia mai stata avviata una valutazione d’incidenza? Qual è l’idea oggettiva di sviluppo per questo territorio per i prossimi venti, trenta o quarant’anni?
Nella convinzione che le divisioni non siano opera del diavolo, come pure ha sostenuto nel corso del convegno padre Angelo Palumbo, presidente della Fondazione, ma derivino semplicemente dalla mancanza di condivisione tra le parti, ci limitiamo a porre delle semplici domande. Nella speranza di ottenere, prima o poi, semplici risposte.