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Gasdotto Tap, «la certezza del rilascio di cromo esavalente nelle acque sotterranee, comunque, c’è»

Non è solo il rischio di incidenti rilevanti a preoccupare i cittadini, le associazioni e gli amministratori locali che si oppongono da anni al gasdotto Tap. In ballo, nell’area che ospiterà l’opera, c’è anche la presunta contaminazione della falda da sostanze nocive, tra le quali il cromo esavalente, di cui ci parla il dottor Massimo Blonda. Intanto la Procura di Lecce, a conclusione delle indagini, ha iscritto sedici persone nel registro degli indagati.

Il mega gasdotto Tap (Trans adriatic pipeline), che porterà il gas in Italia e in Europa dall’Azerbaijan, attraversando Grecia e Albania, è in piena fase di cantiere. È tutto pronto, infatti, per la realizzazione di un’opera molto contestata, che rientra in un progetto più ampio, quello del Corridoio Sud del gas, costituito anche dal South caucasus pipeline – che coinvolge Azerbaijan, Georgia e Turchia – e il Trans anatolian pipeline che si trova in Turchia.
Il gasdotto è lungo 878 chilometri e il tratto che attraverserà il nostro Paese è costituito da una condotta sottomarina di 45 chilometri e da una condotta interrata di 8 chilometri fino ad un terminale di ricezione – denominato Prt – ubicato nel territorio di Melendugno, in provincia di Lecce. Il Prt, il punto terminale del gasdotto Tap, costituirà la connessione con la rete italiana di distribuzione del gas gestita e controllata dalla Snam rete gas.
Un punto estremamente delicato, in quanto il terminale di ricezione è stato al centro di un incidente probatorio – lo scorso 21 gennaio – richiesto dal sostituto procuratore Valeria Farina Valaori, dal procuratore Leonardo Leone De Castris e disposto dal gip di Lecce, Cinzia Vergine, dopo un esposto presentato da otto sindaci e dal comitato No Tap.
Gli esperti incaricati sono stati chiamati ad accertare il quantitativo complessivo di gas manipolato, considerando il gasdotto e il terminale di ricezione in maniera unitaria. L’esito delle indagini stabilirà se l’opera è da sottoporre alla direttiva Seveso III sulla prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti.

IL CROMO ESAVALENTE
Sulla vicenda Tap si è aperto, intanto, un nuovo fronte di discussione che ha generato ulteriori preoccupazioni nella popolazione di Melendugno: la presenza di una fonte di rilascio di cromo esavalente nel cemento del pozzo di spinta costruito dalla società Tap. Una sorta di vasca da cui un’escavatrice inizierà il percorso di scavo del tunnel che ospiterà il gasdotto. Questo, una volta giunto alla spiaggia di San Foca, si congiungerà con il tratto del tubo situato nel fondale marino.
Il cromo esavalente è un cancerogeno (gruppo 1A, Iarc) ed è anche dotato di effetti tossici non cancerogeni per esposizione continuata (per via inalatoria, ingestione e contatto cutaneo).
La società Tap tenta di rassicurare la popolazione sostenendo, in un comunicato, che «come riportato dettagliatamente nella relazione di Arpa Puglia del 29 dicembre 2018, non c’è alcuna contaminazione nelle acque sotterranee e nei terreni in prossimità del cantiere di San Basilio, sia negli strati superficiali che in quelli più profondi, per tutti i parametri analizzati, inclusi quelli individuati nel protocollo operativo (arsenico, manganese, cromo totale, cromo esavalente e nichel)», e aggiunge che «la sicurezza e la salvaguardia dell’ambiente costituiscono da sempre una priorità assoluta per Tap, che continua ad offrire la massima collaborazione e trasparenza alle autorità e agli enti interessati nel corso delle indagini e ribadisce la piena fiducia nelle autorità inquirenti.»
Pronta la reazione del sindaco di Melendugno, Marco Potì, il quale ha dichiarato che l’accertata presenza dei materiali contaminanti nel cantiere rende evidente il rischio concreto che la prosecuzione dei lavori possa compromettere il suolo, il sottosuolo e la falda e pregiudicare la salute pubblica. Rivolgendosi a Tap il primo cittadino ha inoltre aggiunto che «è stato accertato infatti che il cromo esavalente è contenuto nei materiali “portati” in cantiere da Tap, ossia lo stabilizzato di cava e il cemento, ed è dagli stessi rilasciato. Si ricorda che Arpa, nella relazione di dicembre scorso, la stessa menzionata da Tap nel suo comunicato, ha rilevato che lo stabilizzato di cava, presente in tutto il cantiere, rilascia cromo esavalente; in particolare, quello prelevato nell’area denominata “deposito conci”, sottoposto a test di cessione, ha rilasciato cromo esavalente in quantità pari a 22 µg/l. Ancora, dalla medesima relazione dell’Agenzia emerge che le acque intrappolate nel pozzo di spinta durante la sua realizzazione contenevano concentrazioni di cromo esavalente pari a ben 350 µg/l.»

Ma cosa è emerso dalle analisi del cemento del pozzo di spinta e quali sono i rischi ambientali e sanitari connessi? Lo abbiamo chiesto al dottor Massimo Blonda, ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Istituto di ricerca delle acque, già direttore scientifico di Arpa Puglia dal 2007 al 2017.

I risultati del test di cessione effettuato sul cemento del pozzo di spinta hanno evidenziato una capacità di rilascio di cromo esavalente. Non c’è alcuna certezza che, attualmente, non ci siano superamenti delle soglie di contaminazione in falda, dato che le ultime analisi effettuate dall’Agenzia per la protezione ambientale regionale sulla falda risalgono al 28 agosto 2018. Dottor Blonda, ci può spiegare cosa è emerso da queste analisi?
Il test, eseguito attraverso un metodo ufficiale, si è avvalso del prelievo di un campione di cemento che è stato messo a contatto con un certo quantitativo di acqua deionizzata, priva cioè di sali. Il campione è stato prelevato e preparato da Arpa Puglia, mentre è stato esaminato da Arpa Umbria. Il test ha rilevato una concentrazione di cromo esavalente pari a 11,3 µg/l. Questo valore, però, non è paragonabile a un limite di riferimento, in quanto questo test si applica nella classificazione dei rifiuti. L’analisi, in realtà, è stata eseguita con questo metodo in quanto è l’unico a possedere una procedura standard che può essere effettuata per verificare il rilascio, o meno, del tossico in esame se a contatto con acqua.
In sostanza, non essendoci valori di riferimento, il test, che è comunque di tipo quantitativo, nel caso specifico, ha avuto valenza di tipo qualitativo. Certo, non è detto che questo livello venga raggiunto nelle acque sotterranee (il cui valore massimo è pari a 5 µg/l, ndr). Tuttavia è fuori discussione che il cemento di cui è costituito il pozzo di spinta, a contatto con l’acqua, possa rilasciare un certo quantitativo di cromo esavalente. È comunque una fonte di rilascio che non dovrebbe esserci. Questo andava senz’altro evidenziato tramite analisi specifiche.

La società Tap ha sottolinea pertanto che il test si applica solo ai rifiuti e non alle materie prime. Come commenta queste dichiarazioni?
Le affermazioni della società non si basano su un approccio scientifico al problema. Tap non tiene conto del fatto che è stato utilizzato un test per effettuare una valutazione di tipo ambientale che dà delle risposte di tipo conoscitivo, cioè se è presente o meno una sostanza nociva in un dato materiale e se questa può raggiungere le matrici ambientali. Questo è l’unico test a disposizione per fare un’indagine del genere. La certezza del rilascio di cromo esavalente nelle acque sotterranee, comunque, c’è ed è un dato oggettivo e incontestabile. Tra l’altro, nel momento in cui verrà sfondata la parete del versante est del pozzo, per iniziare a scavare, il rischio aumenterà perché non si avrà più il rilascio da una superficie compatta. Il materiale sgretolato potrebbe provocare una maggiore dispersione del cromo esavalente in contatto con l’acqua.

Si può parlare, a questo punto, dell’esistenza di un danno per l’ambiente e la salute pubblica?
Il danno ambientale si definisce secondo alcuni schemi di classificazione presenti nella norma e costantemente in evoluzione, man mano che si acquisisce anche giurisprudenza su tale definizione. Al momento è difficile dirlo sulla base dei risultati analitici disponibili. Senza attendere di accertare un danno, che dipende dalle quantità e dal tempo di esposizione dei bersagli ambientali ed umani, direi che sia meglio concentrarsi sul rischio, che oggi non è quantificato ma c’è, dove prima era invece assente. Questo deve comunque mettere in allerta gli organi di controllo e di tutela competenti.

Le parole di Massimo Blonda suonano come un chiaro invito a mettere in campo misure preventive immediate di salvaguardia dell’ambiente e della salute pubblica. A fare definitivamente luce sulla vicenda sarà la Procura di Lecce che ha di recente concluso le indagini in merito alla presunta contaminazione della falda da sostanze nocive tra cui il cromo esavalente. L’avviso di conclusione delle indagini, a firma del procuratore capo Leonardo Leone De Castris e del sostituto procuratore Valeria Farina Valaori, è stato notificato a ben sedici indagati. Tra questi il country manager di Tap Italia, Michele Elia, e il project manager di Tap, Gabriele Paolo Lanza, in carica dal 15 marzo scorso, oltre ad imprenditori e rappresentanti delle ditte che eseguono i lavori e alla stessa società Tap.

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Autore:

Responsabile del Comitato Legamjonici di Taranto. Nel 2010 consulente di parte nell’inchiesta “Ambiente svenduto” sull’Ilva.