Periodico indipendente su Ambiente, Sud e Mediterraneo / Fondato il 23 dicembre 2015
 

Tap come Ilva, mancano solo trivelle

Sul tavolo del ministero dello Sviluppo economico 104 istanze di rilascio di nuovi permessi. Presto il governo del “cambiamento” dovrà uscire allo scoperto.

Il dado è tratto. Dopo un’interminabile e tragicomica sequela di “no”, “sì”, “non so, vedremo al termine dell’analisi costi-benefici”, “stiamo valutando la regolarità della Via”, ieri sera il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha emesso il verdetto finale: «la Tap si farà».
Non si sono fatte attendere le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio: «La penale costa più di reddito di cittadinanza e quota 100 assieme.» Chiosa il predecessore di Di Maio, Carlo Calenda: «La Tap è Ilva2 la vendetta».
«È proprio così – afferma il portavoce del Coordinamento nazionale No Triv, Francesco Masi – le scelte di politica climatica ed energetica dell’attuale esecutivo sono in perfetta sintonia e continuità rispetto a quelle dei governi che lo hanno preceduto. Le prove? Eccole: Ilva, Tap, Terzo Valico, Smaltimento fanghi tossici/velenosi della ricostruzione del Morandi a Genova. In questo momento così drammatico, il Coordinamento nazionale No Triv è al fianco del Movimento No Tap.»
Analisi costi-benefici? Ne sono all’oscuro perfino i ministeri competenti. Sbandierata più volte per calmare gli animi più irrequieti, non ha mai visto la luce. Penali? Le conseguenze di un eventuale “no” a Tap sono note da tempo; di sicuro fin dal 5 dicembre 2013, quando il Parlamento approvò il Trattato di ratifica dell’Accordo siglato 13 febbraio 2013 tra l’Albania, la Grecia e la Repubblica Italiana siglato 13 febbraio 2013.
Ciò malgrado la forza politica parlamentare oggi di maggior peso ha fatto di “no Tap” una delle leve della sua campagna elettorale rinunciando poi a far valere le sue ragioni, soccombendo di fatto al suo alleato.
Permane la questione di fondo di cui il governo in carica, al pari di quelli che lo hanno preceduto, non intende comprendere la gravità se non in termini propagandistici: siamo alla vigilia di catastrofe climatica. L’ultimo rapporto IPCC indica la necessità di contenere, da qui a fine secolo, la crescita della temperatura media globale entro il limite di +1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali.
La temperatura registrata quest’anno in Europa da aprile a settembre è stata di 2,5 gradi più alta rispetto alla media storica dal periodo pre-industriale ad oggi.
«Il governo di questo non si cura affatto – afferma Enrico Gagliano, cofondatore del Coordinamento nazionale No Triv – visti i 10 miliardi metri cubi per anno la capacità iniziale del gasdotto, espandibile a 20 miliardi in un futuro non precisato, la scelta a favore di Tap va nella direzione esattamente opposta e lega il nostro Paese ed anche l’Europa ad un futuro fossile.»
Nel frattempo sul fronte trivelle tutto tace. A livello nazionale tace M5S e tace la Lega. Tace anche il ministro Di Maio che nei giorni scorsi si è visto recapitare il “Pacchetto Volontà” dei No Triv, che contiene proposte precise – tra queste anche quella di una moratoria – per porre fine al Far-West in atto da anni nel settore della ricerca, dell’estrazione, dello stoccaggio e del trasporto di gas e petrolio.
«La misura è stracolma», aggiunge Francesco Masi. «Sul tavolo del Mise ci sono i fascicoli di 8 istanze di permesso di prospezione in mare con la famigerata tecnica dell’air-gun; 52 istanze di permesso di ricerca di gas e petrolio su terraferma; 28 istanze di permesso di ricerca in mare; 6 istanze di concessioni di coltivazione su terraferma; 4 istanze di concessione di coltivazione in mare; 4 istanze di riattribuzione di giacimenti marginali e 2 istanze di concessioni di stoccaggio. Oltre a tutte le istanze di proroga di titoli già esistenti.»

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