I documenti di Asl, Arpa Puglia e Ispra al vaglio degli esperti. Il primo cittadino chiede un incontro al ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. «È una buffonata!», dice la mamma di Giorgio Di Ponzio. La “Call to Action” presenta studi scientifici e dati sanitari sulla città.
I dossier dell’Asl, Arpa e Ispra sono arrivati entro mezzogiorno dell’8 aprile, come richiesto dal sindaco, Rinaldo Melucci, il quale al margine del Tavolo istituzionale di sviluppo di Taranto, tenutosi a Roma, ha dichiarato che «l’Amministrazione comunale sta valutando di esplorare tutte le possibilità della legge n.132/2016 e di ricorrere ad un supporto più costante di qui in avanti del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente.»
La legge a cui fa riferimento il primo cittadino prevede, tra le azioni possibili, l’adozione del principio “chi inquina paga”, ben lontana dalla minacciosa ordinanza di chiusura degli impianti sulla base del Principio di Precauzione sbandierata da Rinaldo Melucci nei giorni scorsi.
Intanto dal monitoraggio della qualità dell’aria da parte di Arpa Puglia e Ispra – con riferimento alle aree di zona industriale che interessano Taranto, Massafra e Statte – è emerso che nel 2017 e nel 2018 risultano rispettati i valori limite per PM10, PM2.5, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio e biossido di zolfo, il valore obiettivo per il benzo(a)pirene, nichel, arsenico, cadmio, piombo.
Gli unici superamenti riguardano l’ozono. Nel triennio 2015-2017, nelle due centraline dove viene monitorato l’ozono, si sono registrati rispettivamente 16 (San Vito) e 31 (Talsano) giorni di superamento della soglia di 120 microgrammi per metro cubo come media su tre anni (il valore obiettivo prevede che i giorni di superamento possano essere al massimo 25).
La misurazione di diossina, invece, ha registrato un «incremento significativo» per il periodo giugno-ottobre 2018 della Masseria Carmine, riportando la media annuale agli stessi ordini di grandezza pre-2012.
In sintesi è ciò che dicono i dossier Arpa Puglia e Ispra inviati al sindaco. Cinque centraline sono all’interno dei confini dell’insediamento industriale, di cui una a ridosso dei forni della cokeria. La sesta si trova nel quartiere Tamburi. Infatti, sono stati osservati analoghi picchi nella rete deposimetrica interna all’impianto ArcelorMittal, in particolare per la postazione cokeria.
Secondo i dati Ispra – relativi alla centralina di monitoraggio situata all’esterno dello stabilimento siderurgico, in via Orsini nel quartiere Tamburi – si rileva che le medie annuali di benzene, biossido di azoto, PM10 e PM2.5, rilevate nel 2017 e 2018, rispettano i limiti previsti dalla normativa italiana. Nel 2018, in tale centralina sono stati rilevati 9 superamenti del limite giornaliero di PM10, pari a 50 microgrammi/metro cubo, numero inferiore rispetto al numero massimo previsto dalla normativa, pari a 35.
A partire dall’anno 2016 è attivo un sistema di campionamento di lungo termine (in continuo) delle emissioni convogliate di diossine sul camino E312 dell’impianto AGL2. È attivo inoltre all’interno e all’esterno dell’impianto il monitoraggio delle ricadute al suolo di diossine potenzialmente rilasciate da dispersioni di polveri o fuoriuscita da superfici estese (rete deposimetrica).
Come reso noto dagli organismi Ispra e Arpa nel report consegnato al sindaco: la rete interna all’impianto ArcelorMittal è costituita da 3 postazioni relative all’area a freddo (nord stabilimento) e 3 postazioni relative all’area a caldo (lato sud) di cui una in area urbana (Tamburi-Orsini). L’analisi dei risultati a partire dall’aprile 2017 mostrano che presso le tre postazioni dell’area a caldo i valori sono significativamente più elevati rispetto a quelli rilevati nell’area a freddo.
Dal canto suo l’Asl, secondo indiscrezioni, parrebbe confermare «la presenza di criticità in ordine alle patologie associabili con gli inquinanti emessi dagli stabilimenti dell’area industriale di Taranto, tuttavia con andamenti di ospedalizzazione in diminuzione.»
Il trapelare di tali notizie che non evidenziano il superamento dei limiti di legge, anzi si addebitano i morti alla vecchia gestione, ha suscitato indignazione tra cittadini, associazioni e comitati che vedono ormai lontano il fermo della grande industria.
«I dati forniti dall’Asl non sono assolutamente corretti. Perché non ci vengono forniti i dati dei codici di esenzione (048)? Perché per definire l’impatto sanitario vengono presi in considerazione gli andamenti degli ospedalizzati?», dichiara Carla Luccarelli, mamma di Giorgio, morto a soli 15 anni, lo scorso 25 gennaio per sarcoma a cellule chiare dei tessuti molli. «Conosciamo benissimo i viaggi della speranza, molta gente va fuori per curarsi, molti bambini con le proprie famiglie cercano l’ultima speranza di vita recandosi in ospedali di altre regioni.»
«I dati sanitari riportati, risalenti al passato, mettono in evidenza la vulnerabilità attuale della popolazione tarantina che non può sopportare l’esposizione continuata ad altre sostanze inquinanti», sostiene Daniela Spera del comitato Legamjonici che, insieme all’associazione Giustizia per Taranto ed altri professionisti partecipanti al Tavolo tecnico pubblico istituito attraverso la “Call to action”, ha protocollato al Comune di Taranto, proprio lunedì 8 aprile gli studi scientifici in materia di inquinamento e di danno sanitario della città.
«In questo documento – dice l’avvocato Leonardo Laporta – si riportano i presupposti di fatto e di diritto (ai sensi dell’articolo 50, comma 5 del decreto legislativo n.267/2000), perché in via contingibile ed urgente si ordini la sospensione delle attività e la chiusura di tutti gli impianti dello stabilimento ex Ilva.»
Certo è che l’ex Italsider è l’unico impianto in Europa in cui l’inquinamento presenta livelli alti, ma definiti nella norma. Resta di profondo disaccordo l’applicazione della normativa europea che non tiene conto delle reali condizioni di vita di una comunità già provata da oltre quaranta anni.
Prendendo per buoni i risultati degli organismi tecnici si potrebbe ipotizzare un allarmismo non giustificato dei mesi scorsi da parte delle sentinelle ambientaliste. Invece potremmo anche non definire accettabili, seppur ufficiali, i dati comunicati da Arpa (di gestione regionale) e Ispra (ente che si occupa del coordinamento delle Agenzie regionali per la protezione ambientale) al sindaco, solo perché l’Arpa definisce i risultati nella norma ed, invece, l’Asl parla di patologie correlate agli inquinanti.
Insomma è evidente una situazione borderline. Certo, che in ogni caso la scelta è prettamente politica, di assunzione di responsabilità da parte del primo cittadino il quale dovrebbe scegliere “se scrivere la nuova storia di Taranto chiudendo l’industria”, così come hanno scritto su uno striscione i cittadini presenti al presidio di lunedì mattina o attuare le procedure di bonifica ambientale.
Certo è che i tre archi non risolvono la questione ambientale tarantina e ad influenzarla non è solo il soprasuolo ma anche la problematica del sottosuolo.
«Sono stati giorni tesi – commenta il sindaco Rinaldo Melucci – ma ora finalmente possiamo ragionare su basi chiare e nel rispetto dei ruoli e delle rispettive responsabilità istituzionali. Il tempo delle speculazioni sulla pelle dei tarantini sta finendo: l’amministrazione comunale non intende mollare la presa.»
Sembra sempre più chiara la scelta sul futuro di Taranto e del quartiere Tamburi: «entro l’estate l’avvio dei cantieri per realizzare nel quartiere le attività per la ventilazione meccanica controllata», come dice il Commissario straordinario per le bonifiche, Vera Corbelli.