Il Consiglio dei ministri del 16 marzo ha approvato un decreto legislativo che consente la distruzione dei boschi e delle foreste per alimentare le centrali a biomassa. Il Testo unico sulle foreste segue la disastrosa stagione di incendi forestali che hanno distrutto migliaia di ettari del Belpaese, mentre una impunita mano incendiaria attentava ai beni comuni.
Il Testo unico sulle foreste, approvato dal governo Gentiloni, anziché ripristinare il patrimonio distrutto dal fuoco, liberalizza il patrimonio forestale italiano per un uso privatistico dei beni, ispirandosi a falsi principi silvi-colturali.
Cancellato il Corpo forestale dello Stato e messo in soffitta il principio di conservazione forestale, ecco dunque arrivare il nuovo decreto “motosega”, come battezzato da molti. Il costituzionalista Paolo Maddalena traccia il nuovo identikit della definizione di bosco imposto dal decreto: “…i boschi che non sono stati tagliati per assicurarne la loro funzione ambientale sono considerati incolti.”
E tali sono considerati anche i terreni agricoli sui quali è tornato naturalmente il bosco. Tutti i rimboschimenti realizzati nel recente passato, anche con fondi europei, non sono bosco e quindi possono essere distrutti. Tutti i boschi di neoformazione possono essere distrutti: essi coprono il 30 per cento della superficie forestale nazionale. Si tratta del fenomeno dei terreni agricoli abbandonati a partire dal secondo dopo guerra. Il taglio dei boschi viene imposto anche ai privati le cui proprietà rientrano nel “piano di gestione attiva”. Fino a 2 ettari si può praticare il taglio a raso, finora vietato.
È consentita la conversione del bosco ad alto fusto a bosco ceduo (cioè sottoposto a tagli). I rimboschimenti artificiali possono essere distrutti.
L’articolo 5 del Testo unico sulle foreste prevede la “trasformazione del bosco”, cioè la sua distruzione per attuare “finalità diverse dalla gestione forestale”. In sostanza, ogni bosco naturale può essere distrutto purché “compensato” con una piantagione per la produzione di biomasse. Non occorre nessun controllo sull’apertura di strade forestali (e piste per impianti eolici, ndr).
Nessuna norma prevede che i boschi pubblici abbiano la finalità della conservazione della natura. Le Regioni possono imporre al privato il taglio dei boschi, anche contro la loro volontà di mantenerli allo stato naturale. In caso di mancato accordo, la Regione “si sostituisce” al privato per il taglio del bosco. Ci sono molte altre norme distruttive – secondo Paolo Maddalena – ma si è detto quanto basta per far capire come questo decreto legislativo violi l’articolo 9 della Costituzione e, con esso, gli articoli 41 (libertà di iniziativa dei privati), 42 (la proprietà collettiva demaniale e la funzione sociale della proprietà), 117 (tutela dell’ambiente e dell’ecosistema) e 32 (tutela della salute.
A nulla sono valsi gli appelli di associazioni e cittadini al governo che continua a legiferare, nonostante le elezioni del nuovo Parlamento, mentre il “decreto motosega” promette di elargire alla lobby delle centrali a biomassa un ennesimo favore.
L’associazione Medici per l’Ambiente (Isde Italia) e il Gruppo di ricercatori e scienziati di energia per l’Italia hanno espresso “la più profonda preoccupazione per la recentissima approvazione da parte di entrambi i rami del vecchio Parlamento del decreto legislativo Disposizioni concernenti la revisione e l’armonizzazione della normativa nazionale in materia di foreste e filiere forestali” in attuazione dell’articolo 5 della legge n.154 del 28 luglio 2016. Un decreto che favorisce in modo incondizionato e sistematico il taglio esteso di boschi ed aree, fino ad oggi protette, per l’utilizzo delle masse legnose a fini energetici nelle centrali a biomasse. Tale pratica comporterebbe – secondo l’Isde – inevitabilmente un ulteriore aggravio dell’inquinamento atmosferico con ricadute negative per salute della popolazione italiana, dimenticando che l’Italia, con 90 mila morti premature all’anno sulle 487.600 del continente europeo, è ai vertici di questa triste classifica e per questo sotto procedura d’infrazione.
Già oggi in Italia le biomasse solide sono responsabili di circa il 70 per cento del PM2,5 primario, che rappresenta (dati Ispra) circa la metà del PM2,5 totale, responsabile di 59.630 decessi prematuri ogni anno secondo l’Unione europea.
Saprà la terza repubblica invertire la marcia sul consumo dei suoli e sulla distruzione dei nostri beni comuni sacrificati ancora una volta per interessi privati? Non è forse giunto forse il momento di rivedere gli incentivi alle energie fossili ed anche a quelle delle rinnovabili speculative? I cittadini attendono dai nuovi parlamentari eletti e dal nuovo Governo anche queste risposte.