Nonostante diversi decreti considerino i vincoli di salvaguardia e di tutela dei tratturi della transumanza come prioritari, in molte regioni si assiste ad un uso differente di tali beni. E la loro candidatura a patrimonio dell’Unesco da tutelare per il valore “immateriale” potrebbe rappresentare una lama a doppio taglio. Definirli beni “immateriali” appare riduttivo, a meno che non si vogliano costruire “presepi oleografici” rispondenti solo ad esigenze di marketing turistico.
Con il decreto del presidente della Repubblica n.616 del 24 luglio 1977 (“Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382“) le Regioni sono competenti in materia di funzioni amministrative concernenti il “demanio armentizio”. Molto spesso – nonostante il decreto del ministero dei Beni culturali e ambientali del 22 dicembre 1983 consideri la rete dei Tratturi italiani e del Sud Italia sottoposti alla legge n.1089 dell’1 gennaio 1939 (“Tutela delle cose d’interesse artistico o storico”), ed una serie di decreti ministeriali abbiano sancito come prioritari i vincoli di salvaguardia e di tutela dei tratturi della transumanza – si assiste ad un uso differente di tali beni da parte delle regioni.
Il ”demanio armentizio” e i “parchi dei tratturi” (poche le Regioni che li hanno istituiti sul proprio territorio) dovrebbero, invece, salvaguardare prioritariamente l’interesse produttivo tradizionale, ove si guardi all’allevamento tradizionale ancora praticato attraverso il pascolo vagante e la transumanza. Spesso i pastori – come gran parte degli agricoltori stagionali in Italia – sono costituiti da immigrati, considerati i nuovi invisibili da sfruttare.
Non è insolito, infatti, incontrare greggi e mandrie nelle località interessate dalla rete dei tratturi della transumanza, tratturelli e bracci, condotte al pascolo da stranieri, spesso costrette ad attraversare località antropizzate e con infrastrutture stradali e industriali che hanno interrotto e frammentato l’originaria trama delle vie erbose che collegavano anticamente i centri abitati.
Testimonianze – queste – di una cultura che sta purtroppo scomparendo, unitamente alle comunità agro-pastorali, oggi marginalizzate e sfruttate.
Un patrimonio – questo – che di recente è stato candidato dall’Italia presso l’Unesco a divenire valore “immateriale” per l’intera umanità. Un progetto che vede capofila il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e le Regioni.
Definire però “immateriale” la rete dei tratturi della transumanza appare riduttivo, a meno che non si voglia confinare il mondo dell’allevamento non intensivo in nuovi “presepi oleografici” rispondenti solo ad esigenze di marketing turistico. La rivitalizzazione e la valorizzazione della rete dei tratturi della transumanza necessita perciò, a livello regionale e nazionale, di imprescindibili azioni che rilancino il ruolo dell’allevamento, in primis di quello ovi-caprino, a partire dall’azienda zootecnica tradizionale e dalla pastorizia rispettosa dell’ambiente, degli habitat naturali e dei prodotti da essa derivati (formaggi, lana, latte), ovvero riconoscendo anche culturalmente il lavoro dell’allevatore e di quello delle aziende di trasformazione, che nel passato costituivano l’economia prevalente degli antichi Stati, con le comunità che traevano sostentamento e ricchezza. Sulla tutela delle “vie erbose” in Italia, sull’esempio della Mesa di Spagna o altri esempi in Europa, c’è ancora molto da fare.
TRATTURI DELLA TRANSUMANZA: LEITMOTIV DELLA CATTIVA GESTIONE DEL TERRITORIO
Alcune Regioni italiane hanno intrapreso un percorso virtuoso per la salvaguardia della rete dei tratturi, ma solo sulla carta, spesso non identificabili e con confini incerti. Pur se accidentato e spesso contraddittorio – come in Molise, Abruzzo e Puglia – il percorso della loro salvaguardia è spesso accidentato. Si sono mappati itinerari ed emanate leggi regionali sin dagli anni Ottanta solo in alcune regioni. Nelle intenzioni avrebbero dovuto salvaguardare tali beni ai fini della conservazione della pastorizia, ma in realtà i tratturi della transumanza continuano ad essere trascurati o peggio degradati, assieme ai pascoli ed agli ambienti boschivi.
In Basilicata, oltre al tratturo Regio Melfi-Castellaneta, che rappresentava in passato la “spina dorsale” della rete dei tratturi della Lucania orientale e delle Murge pugliesi, esistono altri tratturi, alcuni dei quali facenti parte del “demanio armentizio” istituito solo nel 2015 (appena 500 ettari e 19 tratturelli individuati in sede istituzionale).
Preoccupano i cosiddetti “affidamenti in concessione” ai privati dei tratturi e del demanio armentizio, non in linea con le finalità di salvaguardia. Un leitmotiv, quelle delle norme regionali, allorquando elencano, tra gli usi consentiti, anche la realizzazione di oleodotti petroliferi (in Basilicata purtroppo ne sono stati realizzati per consentire le estrazioni di idrocarburi), reti elettriche e strade. Nella delibera della giunta regionale della Basilicata n.471/2015 sulle concessioni del patrimonio armentizio entrano, infatti, gli “usi” impropri, slegati dall’allevamento zootecnico e dalla salvaguardia dei beni paesaggistici tutelati purtroppo solo sulla carta.
Il provvedimento regionale consente, oltre la coltura agraria e il pascolo, la costruzione di strade dichiarate di pubblica utilità e traverse di accesso a fabbricati limitrofi ai tratturi (la parola tratturo in questo caso sembra essere stata inserita solo in quanto area da sdemanializzare).
Le prescrizioni dettate dalla Soprintendenza ai beni ambientali artistici e storici della Regione spesso si traducono solo in pareri pro-forma così come nel caso degli impianti eolici. Insomma “fatta la legge, trovato l’inganno”.

Foto: Trasferimento di greggi su tratturi trasformati in strade asfaltate // Archivio Pandosia.org
PROGETTO TRATTURI E DELEGAZIONE UNESCO
Auspichiamo che l’Unesco Italia non chiuda gli occhi sulla realtà gestionale del patrimonio dei tratturi, attivando propri osservatori disinteressati, capaci di evidenziare per i tratturi le buone prassi così come le cattive gestioni del territorio (che esistono), favorendo così la salvaguardia per ciò che resta di questi beni da salvare. L’Unesco, organismo delle Nazioni Unite, nato nel 1945 ed animato da nobili intenti in Italia, dovrebbe stimolare inoltre le istituzioni nazionali e locali a valorizzare, assieme ai tratturi, anche una nuova economia legata alla zootecnia tradizionale, ancora presente sull’intero Appennino e sulle Alpi, basata sull’allevamento vagante allo stato brado, su quello tradizionale e la transumanza, integrando in modo rispettoso fra loro, economia rurale e ambiente, valori del territorio e quelli del turismo in chiave moderna.