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Piccoli campioni d’umanità: in campo il valore dell’accoglienza

Quella che stiamo per raccontarvi è una di quelle storie che fanno riflettere. Tanto più potente perché è stata scritta da ragazzi che, poco più che adolescenti, sono già uomini. Tanto più necessaria perché serve per ricordare, a noi adulti, che esistono valori che non si lasciano imbrigliare in un’etichetta amministrativa o in uno status giuridico valido per il permesso di soggiorno. La partita di calcio disputata il 5 febbraio scorso sul campo “Antonio Biondi” di Circello, in provincia di Benevento, in memoria di Fatty Ndjai – il giovane originario della Guinea Bissau travolto e ucciso da un’auto pirata alle prime luci dell’alba del 3 febbraio a Teverola, in provincia di Caserta – è stata ed è tutto questo. Una pagina d’umanità vergata a chiare lettere da piccoli campioni di vita.

Siamo a Circello, in provincia di Benevento. In questo angolo di mondo nel cuore del Fortore, a pochi passi dal Molise, il 5 febbraio scorso è scesa in campo l’umanità. Quella in grado di ricordare che l’accoglienza è un valore che prescinde da schemi, etichette burocratiche o status.
È da queste premesse che è nata l’iniziativa, promossa dai giovanissimi dell’Under 15 provinciale di Benevento, di far stampare delle magliette in memoria di Fatty Ndjai, il giovane che nella notte del 3 febbraio ha tragicamente perso la vita sulla Strada Statale 7 bis, nel tratto che da Nola-Villa Literno conduce a Capua, nei pressi del comune di Teverola, in provincia di Caserta.
Mentre le indagini – coordinate dai Carabinieri di Aversa – proseguono per accertare l’esatta dinamica dell’incidente fatale, questi piccoli uomini hanno scelto il campo da gioco per ricordare il proprio compagno di vita. Quello stesso campo in cui Fatty ha giocato, corso, riso e lottato insieme a loro. E, con un tocco di magia, il calcio ha ricominciato ad essere il gioco più bello del mondo.

IN MEMORIA DI FATTY NDJAI
Fatty Ndjai è nato il 1 gennaio del 1999 in Guinea Bissau, sulle coste africane che si affacciano sull’oceano Atlantico. Poco più che bambino, è sbarcato nel porto di Salerno nell’ottobre del 2016. Da lì, pochi giorni più tardi, è stato trasferito presso la comunità educativa a dimensione familiare “La Libellula” di Circello, gestita dalla Cooperativa sociale Cloe. Ed è qui che questo giovanissimo ragazzo ha iniziato a porre le basi per ricostruire, a piccoli passi, il suo sogno di speranza.
Aveva la passione del calcio, Fatty. Sognava campetti in erba sintetica su cui correre, spensierato, in compagnia dei piccoli amici che lo avevano accolto con semplicità, senza fare rumore. Si sentiva amato, mai diverso. Un ragazzo come tanti. Con delle speranze, come tutti.
Ma tra l’agosto e il settembre del 2017 ha dovuto lasciare la sua comunità, quella che faticosamente aveva cominciato a considerare “casa”. Una volta compiuti 18 anni, infatti, era stato trasferito nello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr) di Casaluce, a Caserta. Senza scomporsi, aveva accettato il suo nuovo destino ed era partito, con un bagaglio di amicizie che non si sarebbe mai lasciato dietro le spalle.
Nella notte del 3 febbraio, però, i suoi sogni si sono infranti sul paraurti dell’auto di un pirata della strada. Stando alle prime indiscrezioni il quarantaduenne originario di Caserta, Antonio Corvino, non si sarebbe neppure fermato a soccorrerlo. Inchiodato alle proprie responsabilità dalle telecamere di videosorveglianza di alcuni locali della zona, Corvino sarebbe fuggito subito dopo il duplice omicidio. Fatty era in sella alla sua bicicletta insieme Mamadou, un giovane senegalese. Nessun segno di frenata, nessun aiuto. Così Fatty, che sognava la vita, ha trovato la morte.

Fatty Ndjai

Foto: La maglietta commemorativa in memoria di Fatty Ndjai // Pierluigi Melillo

«ERA NOSTRO FRATELLO»
È bastato qualche sms per prendere la decisione. «Fatty era il nostro compagno. Fatty era nostro fratello.» Con poche, semplici parole i ragazzi della squadra “Juventina Circello”, iscritta al campionato Under 15 provinciale di Benevento, hanno imboccato la via della grandezza. Scegliendo di ricordare chi, fino a qualche tempo prima, condivideva con loro la passione per il calcio e per la vita.
«Tutto è cominciato su iniziativa dei ragazzi», spiega Pierluigi Melillo, uno degli allenatori della “Juventina Circello”. «Sul gruppo Whatsapp della squadra, l’altra sera, i ragazzi ci hanno chiesto di poter realizzare la maglietta in memoria di Fatty. Hanno richiesto il nostro aiuto semplicemente perché il giorno dopo sarebbero andati a scuola e non avrebbero avuto il tempo di farla stampare. Noi non abbiamo fatto altro che aiutarli, ma l’idea è stata loro. In più, sono stati loro ad aver acquistato le fasce nere da indossare durante la partita e a pretendere che, prima della gara, si osservasse un minuto di silenzio. È stato un momento bellissimo, ammetto di essermi commosso.»
Così, il 5 febbraio alle quattro del pomeriggio, presso lo stadio “Antonio Biondi”, i giovanissimi della “Juventina Circello” sono scesi in campo per disputare la partita della vita. Dopo il primo goal contro la squadra “G.S. Pietrelcina”, sono corsi in panchina per baciare la maglia di Fatty e innalzarla verso il cielo. Alla fine del match, vinto col parziale di 7-1, hanno poi regalato la maglietta a uno dei migliori amici di Fatty, Omar Samura. Perché anche “Ciicc” – così come lo hanno soprannominato – che oggi fa il guardiano del campo da calcio di Circello, è uno di loro.

PICCOLI CAMPIONI SEMINANO SPERANZA
I due presidenti della “Juventina Circello”, Paolo e Gianvincenzo Petriella, e l’altro mister, Antonio Fiore, scelgono di non aggiungere ulteriori commenti. A parlare per loro c’è l’orgoglio di chi resta in silenzio davanti a un gesto semplice, eppure monumentale. Molto più grande di loro. Molto più grande, forse, di chiunque.
«Il gesto di questi ragazzi è stato colossale», ribadisce mister Melillo. «Personalmente non ho avuto la fortuna di conoscere Fatty perché quando ho iniziato ad allenare qui a Circello, purtroppo era stato già trasferito a Caserta. Ma posso dire di aver vissuto in prima persona l’emozione e il coinvolgimento dei miei ragazzi. In pochissimo tempo si sono impegnati al massimo per fare in modo che il loro compagno, il loro fratello, così come lo hanno definito, fosse ricordato. Al di là di quello che può essere il risultato sportivo», aggiunge, «siamo una scuola calcio. Ed è più che giusto che, nelle scuole, si insegnino e vengano portati avanti questi valori. In questo caso, non abbiamo dovuto insegnare nulla. Anzi, siamo noi che abbiamo imparato da loro.»
In questa favola d’altri tempi il calcio si veste di purezza per ricordare Fatty, l’uomo. Uno di noi.
E la grandezza del gesto non sta nella straordinarietà con cui, noi adulti, siamo in grado di leggerlo. Bensì nella semplicità di chi è stato un gigante e, con grandissima umiltà, non se n’è neppure accorto. La naturalezza di questo messaggio è passata attraverso lo sguardo di chi non ha alcun bisogno di etichettare l’altro come migrante, straniero o richiedente asilo per poterlo riconoscere.
Perché forse c’è un’età giusta per essere primi in classifica in un campionato di calcio dilettantistico. Ma non c’è età che tenga per essere piccoli campioni nella vita.
Grazie a questi ragazzi i concetti d’integrazione e d’accoglienza, così come abbiamo imparato a conoscerli, si sono infranti sulle barriere di un’umanità che non conosce differenze. Che restituisce dignità a un uomo, Fatty Ndjai. L’amico di tutti.

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Autore:

Giornalista, caporedattrice del periodico Terre di frontiera. Specializzata in tematiche ambientali. Crede nel cambiamento e nella possibilità di ciascuno di contribuirvi.