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I rifiuti radioattivi dimenticati della ex-Cemerad di Statte

La storia infinita del deposito di rifiuti radioattivi ex-Cemerad di Statte, in provincia di Taranto, che da oltre trent’anni attendono di essere smaltiti.

Statte è un comune pugliese come tanti altri. È un comune giovane, ex frazione di Taranto, diventato autonomo nel maggio del 1993. Il territorio è costituito da un parco naturale circondato da gravine, ampie campagne e antiche masserie. Un paesaggio straordinario pesantemente solcato dall’impronta velenosa dell’industria della diossina che ha portato all’abbattimento di numerosi capi di bestiame contaminati. Basterebbe questo a provocare la nostra indignazione. Ma la storia di Statte è segnata da un’altra vergogna d’Italia: i rifiuti radioattivi.

Quella che stiamo per raccontare è una vicenda fatta di rimpalli di responsabilità, di denunce e annunci d’intenti mai concretizzati, di finanziamenti erogati ma mai impiegati. Una storia infinita nella quale il silenzio istituzionale è stato assordante per dieci lunghi anni, mentre cittadini preoccupati attendevano, e attendono, atti concreti.

Tutto ha inizio nel lontano 1995 quando il Corpo forestale scopre un deposito di fusti accatastati, in stato di palese degrado, a circa due chilometri di distanza dall’ospedale civile Giuseppe Moscati e a pochi metri dalle abitazioni di Vocchiaro e Sabatini, contrade in agro di Statte. Si tratta di un’azienda, la Cemerad, di proprietà di Giovanni Pluchino, destinata allo stoccaggio e al trattamento di rifiuti radioattivi ospedalieri e industriali, in attività dal 1984.

Scatta l’inchiesta della Procura di Taranto e il 19 giugno 2000 il gip Ciro Fiore dispone il sequestro preventivo dell’area. Il 4 luglio successivo i Nas attestano la presenza di 30 mila fusti metallici in stato di grave deterioramento, 60 container e 42 silos, esposti alle intemperie e contenenti scorie radioattive. A completare il quadro già inquietante, le autorità preposte segnalano la presenza di un capannone abusivo, costituito da circa 18 mila fusti colmi di rifiuti radioattivi di ogni genere e provenienza. Con l’accusa di discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi e gestione illegale di rifiuti radioattivi si apre un procedimento penale a carico di Giovanni Pluchino che, il 10 giugno 2003, viene condannato ad un anno di reclusione e al pagamento della sanzione pecuniaria di 12 mila euro. La Procura impone la bonifica del sito entro 6 mesi a partire dalla data di pubblicazione della sentenza. Dichiarata fallita nel 2005, l’ex Cemerad viene data in custodia al Comune di Statte. Da allora l’unico intervento effettuato è stato la rimozione dei fusti situati fuori dal capannone.

I 3,7 milioni di euro deviati
Nel 2011 sono i comitati locali a riaccendere i riflettori sul caso, che si arricchisce di nuovi elementi utili a far emergere rilevanti responsabilità politiche. Si scopre, infatti, che la delibera Cipe n.35/05 – per il triennio 2005-2008 – aveva previsto il finanziamento di 3,7 milioni di euro per la bonifica dell’ex Cemerad, cifra poi dirottata verso altri interventi, non del tutto chiariti, individuati in accordo con le amministrazioni provinciali. Secondo la giunta regionale – presieduta dall’allora governatore Nichi Vendola – per la particolare natura di rifiuto radioattivo, date le procedure stabilite dal decreto legislativo n.230/95, l’intervento non poteva garantire il rispetto della tempistica fissata al 31 dicembre 2008, motivazione che, tradotta, suona all’incirca così: “è una bomba radioattiva che non siamo in grado di disinnescare”. Il primo finanziamento sfuma.
Ma quel deposito non è idoneo e nel corso degli anni la situazione si aggrava a causa del deterioramento dei fusti. Solo nell’aprile 2011 il Comune di Statte affida allo studio associato Romanazzi-Boscia l’incarico di elaborare il progetto esecutivo per la caratterizzazione dei rifiuti e di coordinare in fase di esecuzione la successiva bonifica, al costo lordo di oltre 50 mila euro.
Il contratto di appalto viene sottoscritto il 16 maggio 2011, ma si verifica un nuovo intoppo: manca la nomina dell’esperto in radioprotezione. Senza l’esperto non si piò procedere alla definizione delle metodiche di caratterizzazione utili. Per intenderci, conoscere l’esatto contenuto dei fusti. Per questo motivo i termini di consegna del progetto definitivo vengono sospesi.
Continua intanto la costante azione di pressione esercitata dalle associazioni sull’amministrazione del Comune di Statte. Unico interlocutore politico è l’assessore all’ecologia Vincenzo Chiarelli che nel frattempo dispone la nomina dell’esperto in radioattività, il dottor Domenico Mola, che riceve infine l’autorizzazione da parte della Asl di Taranto. Il 22 dicembre 2011 l’assessore Vincenzo Chiarelli, interrompendo un Consiglio comunale, avverte che manca il parere finale dei Vigili del fuoco, prima dell’approvazione del progetto definitivo, e annuncia che a gennaio del 2012 ci sarà il bando di gara per l’affidamento delle operazioni di caratterizzazione e successiva bonifica.

La vicenda non passa inosservata, tanto che la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nella relazione del 18 dicembre 2012, approvata all’unanimità, riporta che “dalla stampa locale e dai siti delle associazioni ambientaliste attive nella zona traspaiono chiaramente le condizioni di pressione in cui si trova l’amministrazione comunale, alla quale vengono richiesti passi concreti per la bonifica del deposito Cemerad, e la caratterizzazione dei rifiuti, di cui si parla da diverso tempo, è attesa come un passo concreto e decisivo.” Nel corso dell’inchiesta, il primo agosto 2012, viene anche convocato in audizione il sindaco di Statte, Angelo Miccoli, che rassicura sull’avvio imminente della fase di caratterizzazione dei rifiuti stoccati nel deposito, poiché – specifica – il bando di gara è in fase di assegnazione. Intanto la Provincia di Taranto stanzia 1,5 milioni di euro per la caratterizzazione del materiale radioattivo ma in seguito ad una ispezione dei Nas e dell’Ispra si decide di modificare la procedura a causa della preoccupante condizione di degrado in cui versano sia il capannone sia i fusti stoccati all’interno. L’anno 2012 scorre rapidamente. Ora è questione di tempo, se non si agisce in fretta c’è il rischio di perdere i finanziamenti.

Solo il 15 maggio 2013 viene sottoscritto il contratto tra Comune di Statte e Gesteco che dovrà occuparsi dei lavori di caratterizzazione chimica e sica del sito ex Cemerad entro 364 giorni consecutivi dalla data del verbale di consegna dei lavori. Si legge, infatti, in Gazzetta Ufficiale, (GU 5a Serie Speciale – Contratti Pubblici n.56 del 15-5-2013) il seguente esito di gara: “Si rende noto che il Comune di Statte ha aggiudicato con determinazione n.270/2012 all’operatore economico Gesteco spa (con sede in Povoletto Udine Via Pramollo, 6 frazione Grions del Torre), all’esito di procedura aperta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (n.1 offerta), l’appalto di realizzazione dei lavori di caratterizzazione chimica e fisica del sito ex Cemerad in Statte per l’importo di euro 1.191.515,52 al lordo dell’iva.” Responsabile unico del procedimento è l’ingegnere Mauro De Molfetta, funzionario del Comune di Statte. La svolta sembra definitiva quando nuovamente cala il silenzio, per circa un anno. Il sindaco di Statte Angelo Miccoli tace, non si pronuncia pubblicamente sull’esito dei lavori commissionati.
Ma a farci intuire cosa sta accadendo è una nota diffusa il 10 dicembre 2014 da Alessandro Bratti, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti.
La situazione in cui versa il sito a Statte dell’ex deposito rifiuti della Cemerad, dove sono ancora oggi stoccati migliaia di fusti, molti dei quali radioattivi è seriamente preoccupante, non solo per le condizioni oggettive del deposito, inadeguato strutturalmente a contenere rifiuti speciali e privo di efficaci difese sia contro agenti meteorologici esterni sia contro eventuali malintenzionati, m soprattutto per la disparità tra le risorse finanziarie e di competenza specialistica disponibili e quelle invece necessarie per intervenire.
La nota si riferisce a quanto inoltrato dal Prefetto di Taranto al ministero dell’Ambiente: una relazione, fatta pervenire dal Comune di Statte, recante i quadri economici di due ipotesi alternative di intervento. Secondo l’informativa, esistono due modalità con cui procedere: nell’ipotesi di caratterizzazione dei fusti in loco e successivo smaltimento dei rifiuti speciali non radioattivi, i costi ammontano a 5 milioni e 125 mila euro, nell’ipotesi dell’allontanamento di tutti i fusti con successiva bonifica e avvio dello smaltimento il conto è di 9 milioni e 24.600 euro. Cifre ben diverse rispetto a quelle previste nel contratto con la Gesteco, che nel frattempo esce silenziosamente fuori dalla scena senza alcun chiarimento da parte dell’amministrazione locale circa la destinazione del finanziamento stanziato dalla Provincia di Taranto.

Commissione europea vs Governo
A questo punto il Governo non può più ignorare un problema che rischia di esplodere anche a livello europeo. La Commissione europea infatti attende da tempo il programma nazionale di gestione delle scorie nucleari e dei rifiuti radioattivi, che doveva essere pronto già entro la fine del 2014, per poi essere applicato mediante un decreto del presidente del Consiglio. Ma l’Italia è ancora in alto mare e il rischio di una procedura d’infrazione è reale. La reazione è immediata. Il 5 gennaio 2015 il governo emana il decreto n.1 recante: “Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della citta e dell’area di Taranto.” Il decreto contiene una serie di norme finalizzate al salvataggio dell’azienda siderurgica ma, nella sua conversione in legge (legge n.20/15 del 4 marzo 2015) spunta, all’articolo 3, dopo il comma 5, il 5-bis che recita: “Ai fini della messa in sicurezza e gestione dei rifiuti radioattivi in deposito nell’area ex Cemerad ricadente nel comune di Statte, in provincia di Taranto, sono destinati fino a dieci milioni di euro a valere sulle risorse disponibili sulla contabilità speciale aperta ai sensi dell’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 7 agosto 2012, n.129, convertito dalla legge 4 ottobre 2012, n.171.’’

Con un ulteriore decreto – e si spera sia l’ultimo -, il 19 novembre 2015, il Governo nomina la dottoressa Vera Corbelli come Commissario straordinario per la messa in sicurezza e la gestione dei rifiuti pericolosi e radioattivi del deposito ex Cemerad. Con lo stesso decreto il governo riconosce ai lavori di bonifica del sito carattere d’interesse nazionale. Sì, perché dalle indagini conoscitive e effettuate sulla base di quanto riportato sulle etichette dei fusti e nella documentazione allegata, sarebbero ancora 3.344 i fusti contenenti rifiuti radioattivi di ogni genere e provenienza. Si passa dagli scarti derivanti da attività sanitarie – ospedali e cliniche pubbliche e private, laboratori Ria – a fusti contenenti sorgenti radioattive di materiali quali parafulmini, rivelatori di fumo, sorgenti di taratura, fili di iridio, vetrino con uranio naturale. Ma non è tutto. Nel capannone degli orrori sono almeno 57 i fusti che contengono materiale contaminato in seguito al disastro nucleare di Chernobyl. Nel complesso il materiale radioattivo stoccato è costituito da radioisotopi dalla stabilità impressionante: U-238 (4,5×109 anni), Ra-226 (1600 anni), Am-241 (458 anni), Cs-137 (30 anni). Mentre sono oltre 379 mila i chilogrammi di radio-rifiuti, radioattivi e decaduti, da smantellare.

Il commissario straordinario Vera Corbelli assicura che presto partiranno i lavori. Nel frattempo molti cittadini di Statte hanno costituito un comitato spontaneo con l’obiettivo di impedire la costruzione di un nuovo deposito dove trasferire i rifiuti radioattivi, possibilità affatto remota. Il progetto, infatti, esiste già con tanto di area deposito, laboratori e uffici ed è stato commissionato dal Comune di Statte che il 18 febbraio 2015 si è riunito in conferenza dei servizi per la sua approvazione.

A chi sarà affidato il progetto?
L’ipotesi più accreditata è che sarà Sogin ad occuparsene, la società di Stato che ha anche il compito di localizzare, realizzare e gestire il deposito delle scorie nucleari e dei rifiuti radioattivi di tutta Italia. Ed è sempre Sogin a dover fornire all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) la proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee. Ottenuto il lasciapassare da parte di Ispra e del ministero dell’Ambiente la fase successiva prevede la consultazione pubblica. Così non è accaduto. Sembra, infatti, che il sito sia stato già scelto senza previa consultazione, in violazione della convenzione di Aarhus. Si tratta della Fossa Bradanica, in Puglia, che, come anche specificato sul sito della Regione, è un “territorio lievemente ondulato scavato dal Bradano e dai suoi affluenti, caratterizzato da un paesaggio fortemente omogeneo di dolci colline con suoli alluvionali profondi e argillosi”, dunque per nulla idoneo come sito di deposito nazionale. Il timore è che a Statte venga comunque costruito un nuovo deposito-parcheggio di rifiuti radioattivi. Per questo, vuole vederci chiaro il comitato Vocchiaro-Sabatini, dal nome delle contrade di Statte dove ci sono famiglie che vivono ormai da anni con un misuratore di radioattività a portata di mano.


Tratto dal numero 1 anno 1 / marzo 2016 / Pagina 11


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Autore:

Responsabile del Comitato Legamjonici di Taranto. Nel 2010 consulente di parte nell’inchiesta “Ambiente svenduto” sull’Ilva.