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Lo studio sulla diossina nel latte materno e il «problema di percezione»

Il 7 novembre, nell’aula consiliare del Comune di Lavello è stato presentato lo studio “Valutazione dell’esposizione a diossine e policlorobifenili di donne in età riproduttiva residenti nella provincia di Potenza”. Commissionato nel 2015 dalla Regione Basilicata all’Istituto superiore di sanità, ha avuto come input alcuni risultati emersi da un’analisi promossa dal Movimento 5 Stelle di Lavello sul latte materno di una residente, rilevando una significativa presenza di diossina.

La scelta dell’aula consiliare del Comune di Lavello per la presentazione dello studio “Valutazione dell’esposizione a diossine e policlorobifenili di donne in età riproduttiva residenti nella provincia di Potenza” ci ha fatto subito capire che ci sarebbe stato il solito tentativo di tranquillizzare, condito da complimenti reciproci tra i soggetti istituzionali coinvolti a qualsiasi titolo. Così è stato. Il primo cittadino, Sabino Altobello, ha ritenuto i risultati confermativi del buon operato del decisore politico. L’assessore regionale all’ambiente, Francesco Pietrantuono, invece, ha trovato conferma che la questione ambientale è perlopiù un «problema di percezione» e si è sentito «assolutamente tranquillizzato» dai risultati esposti.
Un terzetto composto da consiglieri comunali ed assessore all’ambiente di Lavello – a poche ore dal convegno – pubblica un video sui social network per confermare, anche loro, di essere assolutamente tranquillizzati e soddisfatti di quanto emerso nel convegno, rivolgendosi in particolare a chi «cerca di fare del terrorismo.» Raccomandano tranquillità anche al resto della cittadinanza.
Ma sarà davvero un problema di percezione? Dall’intervento della dottoressa Elena De Felip, dell’Istituto superiore di sanità abbiamo percepito che l’assunzione di diossina nell’uomo avviene perlopiù per via alimentare; la diossina nel latte materno delle neo mamme campionate è effettivamente presente in dosi dalle cinque alle dieci volte superiori rispetto a quelli che sono i limiti di tossicità previsti dall’Organizzazione mondiale della sanità; in altre indagini simili, adoperate a comparazione, la diossina rilevata è circa doppia rispetto allo studio presentato. Una di queste nella provincia di Trento.
Dal dottore Mario Negrone, dirigente dell’Asp di Potenza, abbiamo appreso che lo studio ha richiesto un notevolissimo sforzo ed infusione di buona volontà da parte sua e di altri dipendenti dell’Asp, anche se sostanzialmente limitato ad attività burocratico amministrativa. Uno studio su base volontaria a cui non ha partecipato nessuna neo mamma di Lavello. Dato, questo, emerso grazie alle domande incalzanti di Giancarlo Gervasio, consigliere comunale dei locali Cinquestelle. Per i relatori è un dato irrilevante in quanto l’accumulo di diossina nell’uomo avviene prevalentemente per via alimentare. Pare che il maggior veicolo per questo tipo di assunzione sia il consumo di pesce.
Concetto ulteriormente sottolineato dall’assessore Pietrantuono, forse tranquillizzato dal fatto che il pesce non sia propriamente un alimento tipico delle pendici del Vulture.
Sarà la nostra percezione ma un’incidenza di diossina che va dal 500 per cento al 1000 per cento rispetto alla soglia di tossicità indicata dall’Oms non ci tranquillizza affatto, neanche se comparata ad uno studio effettuato nella provincia di Trento che presenta tracce di diossina per un quantitativo doppio.
Cosa dovrebbe tranquillizzarci? Che le nostre istituzioni sono sì incapaci di sorveglianza e cautela a favore della salute pubblica ma un po’ meno rispetto a quelle di Trento? Per quale grave situazione di inquinamento si è fatta l’indagine nella provincia di Trento? Forse le nostre istituzioni percepiscono che in Trentino la diossina sia un fenomeno naturale?
La nostra percezione è che di diossina nel latte materno non dovrebbe essercene affatto e le autorità farebbero bene ad essere allarmate anziché tranquillizzarsi e farebbero bene ad attivarsi immediatamente e decisamente per contenere ed arrestare le fonti di diffusione della diossina.
Percepiamo che qualcuno non si renda ben conto che nella catena alimentare le diossine si ritrovano per deposizione dalla via aerea, come evidenziato dallo schemino video proiettato dalla De Felip.
Non è affatto indifferente se il test avviene su una donna di Lavello anziché di Melfi, dal momento che nelle nostre abitudini alimentari c’è un significativo uso di produzioni locali. Le produzioni locali, ortaggi o bestiame per consumo familiare, possono avvenire su terreni con maggiore o minore esposizione all’emissioni di una fonte inquinante. Per esempio da un inceneritore?
Ciò che percepiamo con chiarezza è che – come al solito – le nostre autorità non fanno altro che tentare di suggestionare la cittadinanza comunicando letture fuorvianti di dati scientifici per indurre una tranquillità che, in realtà, non ha proprio ragione di essere. Evidentemente qualcuno percepisce che i cittadini di Lavello, Melfi e dintorni, siano fessi.
Noi, invece, percepiamo chiaramente che in questa Regione ancora una volta trionfa la cialtroneria intellettuale.

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